Oggi vogliamo raccontarvi una storia, simile a quella descritta da Jean Giono nel suo racconto del 1953. Solo l’ambientazione è diversa: non ci troviamo nella Provenza del dopoguerra ma in Campania, in un lembo di terra ai margini della Terra dei Fuochi e del cosiddetto «triangolo della morte», che da una guerra fatta di emigrazioni, devastazione ambientale, malapolitica e disoccupazione lunga almeno 20 anni sembra non volerne proprio uscire.

Anche qui il protagonista è un contadino solitario e tranquillo, di poche parole, che prova piacere a vivere lentamente, a contatto con la natura, i bambini e la sua famiglia. Nonostante la sua semplicità e la mancanza di ambizioni e successo, quest’uomo da oltre un lustro sta compiendo una grande azione nelle scuole di questa comunità a cavallo tra le province di Napoli e Avellino, un’impresa che potrebbe cambiare la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future, se solo fosse accompagnato e supportato da suoi simili e da chi queste comunità le governa.

Quest’uomo da oltre cinque anni dedica almeno un giorno a settimana a sistemare, tenere in vita e valorizzare gli spazi verdi di alcune scuole dell’area e, in particolare, dell’Istituto comprensivo Giovanni XXIII di Baiano (Avellino) piantando alberi, regalando semi e coltivando frutta e verdura insieme agli alunni delle scuole coinvolte nelle attività.

Come un moderno Elzéard Bouffier, decide di lasciare un segno di sé nel modo meno invasivo e più sostenibile possibile, decidendo di regalare il suo tempo alle due entità che ritiene più importanti per il futuro dell’umanità: la natura e i bambini.

È proprio alla primaria di Baiano che ai primi di giugno si è chiuso un ciclo di «didattica dell’orto» durato cinque anni, totalmente gratuito, che ha visto la piantumazione di migliaia di alberi e la partecipazione di centinaia di bambine e bambini in maniera assolutamente autonoma e alla pari rispetto agli altri adulti coinvolti. Tutte le attività, infatti, sono nate dall’idea di un bambino competente, soggetto di diritti e costruttore di cultura, dunque partecipante attivo alla realizzazione della propria identità e della propria autonomia, attraverso interazioni e relazioni che intreccia con i coetanei, gli adulti, le idee e la natura.Un sistema di relazioni che va costruito, alimentato, organizzato. Un’organizzazione non neutra e improvvisata, ma pensata coerentemente con un immagine di bambino curioso, disponibile, amante delle esplorazioni.

Evento di chiusura deciso attraverso un processo partecipativo dagli alunni è stata la seconda «festa della patata», risultato tangibile di un processo in cui sono state scelte casualmente alcune varietà autoctone di questo famoso tubero, coltivate all’interno di un percorso didattico che ha visto i piccoli ortolani «sporcarsi le mani» sia nell’orto che in aula, attraverso laboratori ludico-didattici e attività all’aria aperta. La Festa è stata anche la dimostrazione di come sia possibile riportare a consumare prodotti realmente a km 0 soddisfacendo quelle che sono le esigenze alimentari su piccola scala, seguendo l’intero ciclo di vita di una pianta: dalla semina al raccolto.

Questa festa è un esperimento che parte da lontano, dal progetto di diffusione degli orti didattici inizialmente promosso dalla Cooperativa Seeds e poi autonomamente realizzato dal maestro Cesare e da Luca il contadino (questo il nome del moderno «uomo che piantava gli alberi»), attraverso il quale uomini e donne a vario titolo hanno messo a disposizione le loro conoscenze ed esperienze per avvicinare i bambini alla terra (educandoli alla ciclicità e al rispetto della natura) e per rivalutare i saperi antichi, sensibilizzando al rispetto dell’ambiente e a pratiche concrete per salvaguardare il territorio (strategia Rifiuti Zero, stagionalità, filiera corta). Momenti utili a far conoscere l’importanza della biodiversità e della valorizzazione di varietà eterogenee a differenza di quanto vorrebbero imporre le multinazionali del cibo coma la Monsanto e la Dupont. Attività attraverso cui riflettere che l’autonomia alimentare è possibile se le persone per prime ci credo, ravvivando i propri territori a vocazione agricola e agendo contro l’abbandono dei terreni – sia privati che pubblici – riseminando cereali, legumi, ortaggi con uno spirito di cooperazione e non di competizione.

Purtroppo per l’anno prossimo non si ha nessuna certezza, né da parte della scuola né da parte delle altre istituzioni locali su quello che succederà all’orto e sulla possibilità di un nuovo ciclo di piccoli ortolani impegnati nella sacra arte dell’imparare facendo.