E’ tornato in libreria, dopo una lunga assenza, Discrezioni Storia di un’educazione di Mary de Rachewiltz (Lindau, pp. 309, € 24,00). Figlia di Ezra Pound e della violinista Olga Rudge, Mary – affidata dai genitori a una famiglia di contadini della Val Pusteria, con i quali è cresciuta – pubblica nel 1971 le sue Discretions, che approdano in Italia già nel ’73 grazie a Rusconi, e che ora vengono arricchite di una sezione ulteriore (detto per inciso: anche per questo una breve nota al testo e magari un indice dei nomi, nonché dei luoghi dei Cantos citati, non avrebbero guastato). In questa nuova Coda spiccano la descrizione della visita della figlia al padre internato a Washington, nel 1953, nonché il racconto degli sforzi e del vario affaccendarsi intorno a Pound e alla sua possibile liberazione.
Storia di un’anima, Bildungsroman, biografia di un altro – il proprio padre – e libro di memorie: questo testo resta di difficile definizione, è un po’ ciascuna di queste cose anche se nessuna etichetta lo esaurisce in maniera compiuta. Inevitabile che il lettore di Pound abbia cercato, qui dentro, qualche pepita d’oro, qualche informazione o qualche imbeccata che lo aiuti a orientarsi meglio nella selva intricata dei Cantos. Il che in effetti accade, e non di rado. Eppure – dopo decenni di ascolto e di esegesi ormai raffinata dei versi poundiani – le pagine di Mary valgono anche, o forse anzitutto, per altri aspetti. Non solo perché rappresentano, pur di sbieco, l’arrivo della Catastrofe con gli occhi di un’adolescente – quando scoppia la Seconda guerra mondiale l’autrice ha quattordici anni – ma anche perché lo fanno tenendo come primo luogo di osservazione il Tirolo: una terra di confine, ideale per misurare, a posteriori, le contraddizioni dell’abbraccio mortale fra Italia e Germania. Le descrizioni della valle qui si intrecciano spesso ai primi venti di guerra, al malcontento, ai fastidi per gli italiani e per Mussolini, in un’ottica che potremmo anche definire, a tratti, di taglio pur ingenuamente antropologico (come nei paragrafi dedicati ai Korner, i viandanti che elemosinano un pasto e un tetto nei paesi della vallata).
D’altra parte, anche quando l’inquadratura si sposta decisamente sul padre poeta, l’affabulazione di Mary non varrà soltanto come ‘confessione’, affresco dei suoi rapporti con un uomo fuori dal comune. Certo, il ‘romanzo familiare’ poundiano ha la sua suggestione e il suo spazio: come quando scopriamo Pound intento a scrivere delle Leggi per Maria, un vero e proprio catalogo di comportamenti (e, quanto all’autorità del Padre-Giudice, Mary più tardi annoterà molto esplicitamente: «la sua opinione su qualsiasi soggetto era diventata dogma per me, e guai a chi lo mettesse in dubbio»). Al cuore di questa venerazione edipica potrebbero forse stare queste righe «veneziane»: «In cima al ponticello davanti alla Querini Stampalia, prendevo di soppiatto la mano del Babbo e lo presentavo al mondo intero con una magniloquente pantomima interiore. E mi immaginavo che tutti i passanti applaudissero e s’inchinassero al mio eroe». E non sarà inutile ricordare che il titolo – Discrezioni – gioca in effetti a rovesciare un titolo paterno, quelle Indiscretions (1923) in cui Pound raccontava a sua volta la storia del proprio padre.
È tuttavia significativo che la stessa de Rachewiltz tenga a inaugurare il suo resoconto non come un diario intimo, ma come un «dialogo» con i propri «natali» e con il proprio paese, e addirittura come «il risultato di una tradizione americana che va da Song of Myself di Walt Whitman a The Education of Henry Adams»: qualcosa che va ben oltre il personale. Qualcosa che si intreccia inestricabilmente a una ricostruzione della «posizione» di Pound, delle sue relazioni – tutto sommato non entusiaste – con la Germania, della sua percezione dell’America vista dall’Europa e del possibile conflitto fra Italia e States, che Ezra avrebbe voluto scongiurare a ogni costo. Insomma, una biografia che, implicitamente, può anche farsi meridiana della storia, la storia di una cultura – quella occidentale, e segnatamente europea – che va «in frantumi», scrive Mary sul finire del libro, citando un lapidario passaggio dei Pisan Cantos: «c’è stanchezza profonda come la tomba». Di questa stanchezza, di questa crisi d’Europa, Pound resta un diagnosta con cui è indispensabile fare i conti (nonostante le sue ben note contraddizioni, nonostante il deplorevole fascino che esercita ininterrottamente, su di lui, la cultura fascista).
Attira subito, dentro questa storia, il pirotecnico alternarsi di luoghi – il già ricordato Tirolo, o Firenze, o naturalmente Venezia, dove Pound riposa, sull’isola di San Michele – e l’infinito concertato di voci che si muove intorno a un grande solista: si può dire che la ridda di persone rievocate da Mary siano in qualche modo il pendant incarnato dell’assemblaggio di citazioni, frammenti e schegge che compongono il «mosaico» – come lo chiama lei stessa – dei Cantos: da una dedica di Frobenius agli incontri con Manlio Dazzi e Aldo Camerino, da un pianoforte suonato da Giorgio Levi per D’Annunzio, fino alla presenza di Marinetti, a Santayana visitato all’Hotel Danieli, e così via. Non sarà un caso che ora il lavoro più recente di uno dei migliori e più fedeli interpreti della poesia poundiana, Massimo Bacigalupo, si appoggi per buona parte sugli stessi esponenti: Places and Meetings si intitolano rispettivamente, infatti, le prime due parti del suo Ezra Pound, Italy and The Cantos (Clemson University Press, pp. 346, $120,00). Anche qui, in effetti, sono queste le strutture portanti di una revisione complessiva dei rapporti di Pound con la cultura italiana, e diventano anzi privilegiati strumenti di indagine. E si è scritto appunto con la cultura, non tanto con la poesia o con la letteratura italiana.
Bacigalupo chiarisce subito come quello con l’Italia letteraria contemporanea sia, per Pound, anzitutto un incontro mancato. Basterebbe richiamare un solo esempio, ma quanto mai emblematico, cioè il capitolo che Bacigalupo dedica al parallelo fra l’autore dei Cantos e Eugenio Montale. Pound non coltiverà mai un vero interesse per Montale (il quale, invece, interviene a più riprese, e spesso memorabilmente, sulla poesia poundiana). Varrà, questa distanza fra «il miglior fabbro» e il maggior poeta italiano del Novecento, a confermare che letteratura italiana, per Pound, significa Dante o Cavalcanti (con la suggestiva aggiunta di Leopardi): mentre l’Italia contemporanea è anzitutto un esempio di tardiness, di ritardo nei confronti della modernità (il che vale, in fondo, come l’ennesima riformulazione di un topos già ottocentesco, quello dell’Italia come ‘terra dei morti’, giardino del passato).
Il volume di Bacigalupo è intessuto di agnizioni e analisi dettagliate, soprattutto nella terza parte, frontalmente dedicata a una serie di Readings, di corpo a corpo con l’aspra difficoltà del testo poundiano. Ma forse il suo aspetto più seduttivo è proprio la possibilità, per il lettore, di usarlo come un Baedecker critico, una bussola sicura per aggirarsi nel continente-Pound, affidandosi alle geografie autoriali: non a caso a Rapallo con i suoi «beloved landscapes» – un luogo-chiave per Pound, così come per Bacigalupo, che vi è nato – è assegnato l’esordio del libro, con un titolo anche metodologicamente impegnativo quale How to read ‘The Cantos’. Ed ecco avvicendarsi, a seguire, Venezia e il suo «ambiguous role» nella poesia poundiana, Roma, Pisa… Certo, dentro quello che il critico definisce un «container, an encyclopaedia», un repertorio di informazioni custodite «in a relatively small compass», il lettore può continuare – anche felicemente – a perdersi. Ma può farlo, ora, con la scorta di uno studio che sa fare i conti anche con il lato più aberrante di Pound, senza fingere che questo non esista. E sa, soprattutto, cogliere ogni chiarore dei suoi sfuggenti, ambigui, «luminous details».