Sono passati cinque mesi da quando, in un pezzo intitolato Una vergogna di cui sono co-responsabile, il columnist del New York Times William Kristol lamentava il ruolo enorme che i media hanno avuto nell’impensabile ascesa politica di Donald Trump. Anche Obama, alla cena annuale dei corrispondenti di Washington, scherzando (ma non troppo) aveva detto: «Trump voleva fare un po’ di pubblicità ai suoi alberghi. E adesso vuole trasferirsi alla Casa Bianca. Guarda cosa avete combinato!».

Da allora, una maggioranza di giornali e Tv hanno cercato di aggiustare il tiro, di non lasciarsi passivamente risucchiare nel flusso della (non) notizia che è il principale carburante della campagna Trump. Ma, nonostante settimane e settimane di reportage importanti (imperdibile quello del NY Times di sabato scorso sui prestiti e debiti e alleanze finanziarie del miliardario newyorkese) e di valutazioni politiche serie, Trump continua a dominare quel gioco. Un gioco in cui anche le nuove aggiunte al suo team, l’ex presidente di Fox News, Roger Ailes, e il direttore del sito conservatore Breibart News, Stephen Bannon, sono professionisti senza scrupoli. Per esserne certi, bastava accendere Cnn (non Fox News!) lunedì sera e constatare che Anderson Cooper ha dedicato quasi un’ora di prima serata alla… salute di Hillary Clinton, facendosi tra l’altro aiutare dall’ex direttore della campagna Trump, Corey Lewandowski, ora stipendiato da Cnn – e provando così che hanno ragione gli alluvionati della Louisiana a lamentarsi che nessuno li considera.

«Io parlo di posti di lavoro, debito degli studenti, di infrastruttura. E tutto d’un tratto sono costretta a entrare in questa realtà parallela. A spiegare perché sono ancora viva!» diceva, sempre lunedì notte, Clinton, al conduttore della Abc Jimmy Kimmel, dopo aver aperto con energia un barattolo di cetrioli sottaceto, in risposta all’improvviso ritorno in auge dell’idea per cui sarebbe affetta da una misteriosa malattia. Sponsorizzato dall’ex sindaco di New York, e surrogato di Trump, Rudy Giuliani (per cortesia, non chiamiamolo più «l’eroe dell’11 settembre»), questo pseudo fatto ha dominato il ciclo delle ultime 24 ore di news. Non importa se non ci crede nessuno e se il medico di Clinton ha rilasciato un certificato che attesta al suo stato fisico: persino il NY Times ha dovuto cedere alla corrente, e pubblicare un articolo, sulla salute di entrambi i candidati alla presidenza.

Accusata di essere moribonda (l’Esquire le aveva dato sei mesi di vita), corrotta, bugiarda, ladra, lesbica, mentalmente instabile e persino un’assassina, da quella realtà parallela Clinton va e viene da decenni. Ho ancora scolpito nella memoria il racconto che mi fece la moglie di un noto regista hollywoodiano su come Bill e Hillary avevano ucciso i ragazzi che li avevano sorpresi a far atterrare aerei pieni di droga a Little Rock -scoop che lei aveva appreso, pare, da un video incontestabile fatto circolare da Mel Gibson. Stephen Bannon, il nuovo Ceo del team elettorale di Trump, è autore di almeno un documentario pieno zeppo di analoghe teorie del complotto su Hillary.

È una nuvola tossica che, dagli anni della presidenza di suo marito, ha avvelenato per sempre il rapporto di Clinton con il mainstream mediatico, creando quel cortocircuito di sfiducia e diffidenza reciproca che vizia così problematicamente la sua percezione – da destra me anche da sinistra – in questa campagna elettorale. Non che Clinton sia l’unica vittima di questi pseudo fatti diffamatori: John Kerry ha perso un’elezione grazie a uno spot pubblicitario che contraddiceva un dato di fatto, e il suo asset più formidabile (contro Bush jr che aveva bigiato la leva), e cioè che fosse un eroe di guerra.

È dal fitto di quella nuvola tossica, da quell’universo parallelo, che Trump ha deciso di timonare la sua campagna, da qui a novembre. Lunedì, dopo un’intervista non gradita, si è buttato su Twitter accusando la giornalista che le aveva fatto le domanda sgradite di avere una storia sessuale con il suo co-conduttore. Sempre lunedì, Sean Hannity (un altro promotore di Hillary moribonda) ha ammesso candidamente di essere l’Emilio Fede di Fox News: certo che tengo per Trump, lo sento regolarmente e gli do dei consigli strategici. Che problema c’è? Non sono mica un giornalista – affermazione perlomeno bizzarra dal conduttore di un talk show di prima serata su un canale all news.

Che a Trump del lavoro di governare, e degli americani, non importasse nulla era chiaro fin dall’inizio. Adesso, visto che le cose vanno male, forse lo ha stufato anche la Casa bianca. Hanno infatti cominciato a circolare voci che, dopo novembre, starebbe pensando di buttarsi su un’avventura mediatica di vasta scala. Si salvi chi può.