Le Fondazioni e gli istituti culturali, che nel 2019 hanno promosso e redatto il Manifesto delle culture della Repubblica per l’Europa, ribadendo il proprio convinto europeismo e la dimensione dell’Unione europea come realtà indispensabile per pensare al futuro del nostro Paese, intendono portare il proprio contributo di analisi allo stato dell’Unione e alla costruzione di una salda prospettiva di sviluppo democratico delle sue istituzioni.

Di fronte alla grave crisi economica prodotta dalla pandemia da Covid- 19, l’UE ha superato vecchie logiche e ha reagito con determinazione, dimostrando – contro ogni miopia sovranista e nazionalista – che la solidarietà non è soltanto un astratto principio teorico, ma è anche un concreto criterio di efficace politica nell’interesse comune degli Strati membri e di tutta la comunità.

La previsione del nuovo bilancio europeo e la decisione di varare il piano di Next generation Eu, con la quantità di risorse economiche necessarie per il sostegno ai paesi maggiormente colpiti (Italia soprattutto) dalla pandemia e dalla crisi economica da essa provocata, hanno rappresentato una positiva svolta, inimmaginabile sino all’inizio della primavera scorsa.

I governi dell’Ungheria e della Polonia hanno minacciato di opporre il veto al bilancio europeo, la cui unanime approvazione era indispensabile per il decollo del Next generation Eu. L’obiettivo in realtà era quello di bloccare la proposta di Regolamento, concordata a maggioranza tra il Consiglio dei ministri e il Parlamento europeo, che vincola l’utilizzo dei fondi europei al rispetto dei principi dello Stato di diritto, sui cui valori – unitamente a quelli della dignità umana, della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti umani – “si fonda” l’UE, come afferma solennemente il Trattato (art.2), il quale prevede anche che uno Stato membro possa essere sospeso da alcuni dei suoi diritti, quando sia stata riscontrata una violazione grave di quei valori (art. 7).

Che la “democrazia illiberale” realizzata in Polonia e in Ungheria ha già messo in discussione tali valori (a cominciare dalla libertà di stampa e dall’indipendenza della magistratura) è denunciato e documentato da una molteplicità di autorevoli fonti interne e comunitarie, tanto che contro la Polonia è già in corso uno specifico procedimento giudiziario presso la Corte di giustizia di Lussemburgo, che è auspicabile si concluda in tempo molto brevi.

La decisione di Viktor Orbán per l’Ungheria e di Mateusz Morawiecki per la Polonia di utilizzare il potere di veto all’approvazione del bilancio e del progetto economico europeo a scopo palesemente strumentale pone due questioni – l’una di carattere sostanziale, l’altra di carattere formale e procedurale – entrambe vitali per il futuro dei connotati democratici dell’Unione Europea.

La prima questione riguarda l’accettazione e il rispetto dei principi dello stato di diritto, primi tra tutti la garanzia dei diritti fondamentali e la separazione dei poteri sui quali si basa qualunque costituzione degna di questo nome. Questi principi non sono soltanto solennemente affermati nei primi articoli dei Trattati europei e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ma hanno costituito le condizioni elementari dell’accesso a suo tempo all’Unione medesima di entrambi i paesi, che oggi, con il loro veto, oltre che con le loro politiche illiberali, mostrano chiaramente di aver cessato di condividere.

La seconda questione riguarda l’assurdità, sempre più insostenibile, del paralizzante potere di veto in capo a ciascun paese membro, in grado di bloccare decisioni vitali per tutti gli altri paesi europei come sono quelle relative al bilancio dell’Unione. Un simile potere, che riflette una logica da organismo internazionale anziché comunitario e unionista, è in vistosa contraddizione con l’avanzata integrazione giuridica dell’Unione Europea, i cui organi di governo producono decisioni che, come avviene nelle federazioni, entrano a far parte degli ordinamenti degli Stati membri senza bisogno di ratifiche parlamentari.

Entrambi questi problemi investono la natura democratica dell’edificio europeo, ancora incompiuta e imperfetta, da sviluppare ulteriormente con soluzioni creative tra sovranazionalità e federalismo idonee a superare le logiche nazionaliste e sovraniste. Con la loro minaccia di veto i governi ungherese e polacco non solo hanno ammesso l’involuzione illiberale dei loro ordinamenti, ma hanno ricattato tutti gli altri Stati membri dell’Unione sul programma di aiuti, la cui approvazione segna una svolta storica rispetto alle vecchie politiche di austerità.

Il Consiglio europeo, nella riunione dell’11 dicembre scorso, ha raggiunto, con il consenso dell’Ungheria e della Polonia, un difficile accordo, che da più parti è stato salutato con soddisfazione per gli indubbi effetti positivi di accelerazione del programma economico. Tale accordo è stato basato sul compromesso proposto dalla presidenza tedesca che ha sbloccato una impasse che rischiava di determinare una paralisi operativa in una fase che richiede azioni urgenti per far fronte ad una grave crisi economica e sociale.

Per ottenere il consenso ungherese e polacco, il Consiglio europeo ha stabilito che il Regolamento sullo Stato di diritto non potrà essere messo in pratica “fino a quando non sarà stato emesso un giudizio da parte della Corte di giustizia europea”. Al di là dell’ovvio riconoscimento della competenza della Corte per l’accertamento delle violazioni di diritto, in tal modo è stato concesso di fatto ai governanti ungheresi e polacchi una dilazione temporale (uno-due anni) che contrasta con l’operatività prevista dal 1 gennaio 2021 del Regolamento che vincola al rispetto dello stato di diritto, proposto dalla Commissione e sostenuto dal Parlamento europeo.

Al di là degli aspetti propriamente politici, vanno valutati con preoccupazione gli elementi negativi che rischiano di offuscare le prospettive strutturali dell’Unione. Il Consiglio ha adottato una Dichiarazione interpretativa della proposta di Regolamento sullo Stato di diritto, oltrepassando i propri poteri e invadendo le competenze della Commissione e del Parlamento.

Si afferma nelle conclusioni che il Regolamento “deve essere applicato […] nel pieno rispetto […] delle identità nazionali degli Stati membri inerenti alle loro fondamentali strutture politiche e costituzionali” e che la condizione posta per il finanziamento agli Stati è esclusivamente quella di “proteggere il bilancio dell’Unione, compreso Next Generation EU, la sua sana gestione finanziaria e gli interessi finanziari dell’Unione”.

Oltre a un riconoscimento della democrazia illiberale come specificità costituzionale di Ungheria e Polonia, da tali affermazioni può derivare la possibilità che i governi di questi due Paesi sostengano (sia pure pretestuosamente e senza fondamento) che, alla violazione da parte di uno Stato membro dei valori fondanti dell’Unione – Stato di diritto, democrazia, diritti e libertà fondamentali – possano conseguire le sanzioni di cui all’art. 7 TUE soltanto se tale violazione dovesse confliggere con la protezione degli “interessi finanziari” dell’Unione, quasi che lo stato di diritto, con i suoi elementi costitutivi, non costituisca la condizione essenziale per aderire all’Unione e, perciò, l’indefettibile sostanza democratica per rimanere Stato membro con pienezza di diritti.

Possibilità comunque amara e deludente: sia per i tanti ungheresi e polacchi che avevano sperato nell’Unione come ancora di salvezza e fattore di contrasto della curvatura autoritaria dei loro regimi, sia per i tanti democratici europei che continuano a credere che l’Unione non possa ridursi soltanto a mercato unico ed entità economica, ma debba essere comunità di diritti, libertà e giustizia.

Va preso atto che, il 17 dicembre, è intervenuta una chiara Risoluzione del Parlamento europeo che, mentre accoglie con ovvio favore l’accordo politico approvato per consentire l’entrata in vigore dei nuovi strumenti economici e normativi dal 1° gennaio 2021, rimarca che il Consiglio europeo non ha alcuna competenza legislativa, per cui qualsiasi sua dichiarazione rimane di natura politica e non può essere considerata un’interpretazione della legislazione in quanto l’interpretazione è di competenza della Corte di giustizia.

Ciò implica che il testo del Regolamento sullo stato di diritto è stato approvato nella forma proposta dalla Commissione, ciò che consente un ulteriore passo in avanti alla tendenza verso la concretizzazione dello stato di diritto da valore ideale in regola vincolante.

Rimane purtroppo da considerare che la gran parte delle soddisfazioni espresse dopo il raggiunto accordo sembra motivata dalla convinzione che l’unico problema fosse quello di determinare un’accelerazione delle procedure necessarie al varo del piano di sostegno alla crisi economica indotta dalla pandemia e non anche la tenuta della democrazia europea. Tanto meno la questione delle istituzioni di garanzia dello stato di diritto, correttamente posta dal Parlamento europeo, sembra appassionare l’opinione espressa dai mass-media dei nostri paesi, proprio quando emerge con assoluta evidenza che soltanto la spinta e la pressione di una forte, consapevole e diffusa opinione pubblica democratica può alimentare e sostenere lo sviluppo democratico dell’Unione, a cominciare dal superamento degli ostacoli che a tale sviluppo pone il requisito dell’unanimità in seno al Consiglio.

A tal fine appare indispensabile e urgente, anche per dare un solido ancoraggio democratico e sociale alla Conferenza sul futuro dell’Europa , una forte e ampia mobilitazione della migliore cultura politica europeista a sostegno del rilancio, culturale e politico, dell’Unione come comunità di diritti, libertà e giustizia.

In questa prospettiva, le nostre Fondazioni, come agenzie che rappresentano la memoria delle diverse culture politiche, hanno uno specifico ruolo a livello europeo nella formazione dell’opinione pubblica e nelle relazioni con le istituzioni.

Le Fondazioni e gli istituti che hanno espresso la loro adesione a questo documento intendono promuovere una serie di iniziative coordinate, a cominciare da una giornata di pubblico dibattito, coinvolgendo nella riflessione esponenti e soggetti della società civile, del mondo istituzionale e della cultura italiana.

Roma, 23 dicembre 2020

Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico

Vincenzo Vita

Fondazione Lelio e Lisli Basso

Franco Ippolito

Fondazione Giuseppe Di Vagno

Gianvito Mastroleo

Fondazione Luigi Einaudi

Giuseppe Benedetto

Fondazione Gramsci

Silvio Pons

Fondazione Giacomo Matteotti

Angelo Sabatini

Fondazione Circolo Fratelli Rosselli

Valdo Spini

Fondazione Socialismo

Luca Cefisi

Istituto Luigi Sturzo

Nicola Antonetti