«Abbiamo una pistola puntata alla testa. È la prima volta che uno Stato membro dell’Ue cerca di chiudere una libera università, chiedo il sostegno dell’Unione europea». Due giorni fa Micheal Ignatieff, rettore della Central European University (Ceu) di Budapest, ha usato queste parole per chiedere alle istituzioni europee di intervenire per fermare il governo ungherese. A minacciare l’università da lui guidata è la legge sull’istruzione superiore appena varata dal parlamento di Budapest e considerata dalle decine di migliaia di persone che da settimane manifestano per chiederne l’abolizione come l’ennesimo attacco al pluralismo del paese. La prima e probabilmente unica vittima della legge (che per le università straniere prevede la creazione di un campus nel paese di origine, in questo caso gli Stati uniti, e un accordo bilaterale tra Budapest e Washington) è infatti proprio la Ceu, università fondata nel 1991 dal finanziere di origine ungherese George Soros, da tempo nel mirino del premier Viktor Orban che lo considera un «nemico della patria».

L’appello di Ignatieff non è caduto nel vuoto. La commissione Ue ha inviato ieri al governo ungherese una lettera di messa in mora per la legge sull’istruzione superiore, definita «non compatibile con le libertà fondamentali del mercato interno» all’Unione e in particolare con «il diritto alla libertà accademica garantito dalle carte dei diritti della Ue». Si tratta del primo passo verso una possibile procedura di infrazione, anche se è difficile prevederne la reale efficacia.

La decisione non sembra comunque aver impressionato più di tanto Viktor Orban. Il premier ungherese, leader del partito di destra Fidesz al governo del paese dal 2010, era atteso proprio ieri all’Europarlamento, convocato per discutere la situazione dei diritti fondamentali in Ungheria. La «legge Ceu» non è infatti l’unica a preoccupare Bruxelles, allarmata anche dal progetto di legge che punta a limitare l’attività delle Ong (molte delle quali, guarda caso, sono finanziate da Soros), dalle decisione di detenere in speciali centri i richiedenti asilo, nonché dagli attacchi ai media e all’indipendenza del sistema giudiziario. Ma anche dalla recente consultazione «Stop Bruxelles« lanciata da Orban, un questionario con cui il premier ha chiesto agli ungheresi di rispondere a domande tipo: «L’Ungheria è impegnata nel taglio delle tasse e Bruxelles ci sta attaccando per questo. Che dobbiamo fare?» (tra l’altro le questioni fiscali non sono di competenza comunitaria).

A tutte le contestazioni, portate dal vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans, Orban ha replicato rivendicando l’operato del governo. La possibile chiusura della Ceu? «E’ mio dovere far si che ci sia uguaglianza tra le università, indipendentemente da quanto grande e potente sia il loro padrone», ha risposto Orban che no ha peso l’occasione di attaccare Sorso, definito «uno speculatore americano che attacca l’Ungheria». La decisione di chiudere i confini per arginare il flusso dei migranti? «In realtà l’Europa dovrebbe ringraziarci», è stata la risposta. «I migranti non vogliono andare in Ungheria, ma in Austria, Germania e Svezia. Noi rispettiamo le regole di Schengen per l’interesse degli austriaci, dei tedeschi e degli svedesi» e se l’Ungheria non prende i profughi è perché «evidentemente la politica delle quote obbligatorie è fallita». Per quanto riguarda l’accusa di antieuropeismo, infine, «le nostre critiche servono a correggere gli errori dell’Unione europea», è stata la risposta.

Oggi la parola passa a Soros, atteso dal presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker.