La ricetta della Scala di Milano per ingannare l’attesa dell’ormai chimerica riapertura delle sale è con ogni evidenza quella del teatro da camera, o meglio da salotto, che strizza l’occhio al glorioso teleteatro con cui la Rai nel 1954 iniziò le sue trasmissioni, rileggendolo tecnologicamente secondo le necessità dello streaming: un teatro di formato ridotto da gustare a scelta sul letto (sui display dei device mobili dei più giovani) o sul divano (sullo schermo decatodizzato ma sempre fisso dei più vecchi).

L’ultima proposta (su RaiPlay lo scorso 18 marzo) è un dittico di operine con testo di Bertolt Brecht e musiche di Kurt Weill, Die sieben Todsünden e Mahagonny Songspiel, esempi di teatro da camera anche nel senso musicale della definizione, trattandosi di partiture che necessitano di organici orchestrali assai ridotti.
Entrambe raccontano vicende assai scarne e stilizzate di dannazione cittadina. Nella prima due sorelle, partite dalla Louisiana, soggiornano per 7 anni in 7 città degli Stati Uniti per guadagnare il denaro necessario a costruire una casa per la loro famiglia in riva al Mississippi: a ogni tappa affrontano uno dei 7 peccati capitali della dottrina cristiana e della morale borghese (accidia, superbia, ira, gola, lussuria, avarizia e invidia).

NELLA SECONDA anelano alla città da sogno Mahagonny quattro uomini, che sperano di trovarvi whisky, donne e tavoli da poker in abbondanza, e due donne, che cercano ricchezza e divertimento guidate dalla luna dell’Alabama (nella celeberrima Alabama-Song, poi reinterpretata da Jim Morrison e David Bowie); ma la città si rivela così squallida e infernale che nemmeno il sopraggiunto Dio riesce a condannare i peccatori a una pena peggiore che restarvi, salvo poi scoprire che Mahagonny non esiste, è solo una parola inventata.

Riccardo Chailly dirige captando ogni sfumatura di colore e ogni ansia ritmica delle partiture, restituendo l’impasto prezioso di elementi aulici e volgari, di tecniche avanguardistiche e contrappunto, di melodismi cameristici classici e forme della tradizione popolare (foxtrot, valzer, ragtime, jazz), tutti sottoposti a un’assimilazione critica e straniante evidente nelle dissonanze armoniche e nel dislocamento degli accenti ritmici, che però non riesce a inibire del tutto momenti lirici di adesione emotiva alle azioni dell’umanità disorientata e illusa messa in scena. Abbagliante la performance del soprano Kate Lindsey.

IRINA BROOK crea una macchina scenica semplice e allo stesso tempo suggestiva in cui, ai clamori dei grandi gesti e dei movimenti ampi che sarebbero stati necessari a impressionare il pubblico a teatro e mancati ad alcuni critici un po’ miopi, preferisce i dettagli, le sfumature, le espressioni facciali e le micro-coreografie da offrire alle inquadrature studiate delle telecamere della Rai, sapientemente guidate da Arnalda Canali, che ha ormai maturato un linguaggio registico sicuro e convincente. Replica il 27 marzo ore 20.10 su Rai5.