«Oltre che componenti di più ampie circostanze, gli oggetti sono pedane per saltare nell’aldilà, nel mondo dello spirito e in quello dei morti che nella mente rivivono pur senza respirare. Un oggetto fuori contesto è come un relitto sul sabbioso fondo del mare. Intorno a ognuno di essi orbitano gesti, ricordi, idee e sentimenti, come pianeti attorno a quei minuscoli soli». Così Andrea Carandini in una pagina (il capitoletto L’umana conchiglia) del suo volume autobiografico recentemente pubblicato da Rizzoli, L’ultimo della classe. Archeologia di un borghese critico.

Carandini attesta qui assai bene la rilevanza primaria dell’oggetto nell’ambito della ratio archeologica alla quale vien dedicando la sua sensibilità e la sua intelligenza. Ma, a ben vedere, alla stregua della riflessione su riportata, è dall’oggetto, dalla sua materialità intesa come il contesto delle relazioni molteplici che in essa risiedono (le «più ampie circostanze»); è da quella materialità che lo fa, appunto, oggetto – ossia alcunché che ci sta perentoriamente innanzi – che prende un adeguato avvio un discorso sul passato. O, meglio, sul tempo.

Sì, perché il tempo di un oggetto esorbita di gran lunga anche la più veneranda età d’una vita umana. E nei rivolgimenti che il passare dei tempi opera nelle reciproche relazioni tra persone, come nei modi e nelle variabili forme entro le quali si muove e muta il consorzio civile, l’oggetto può rimanere riconoscibile nella sua identità, reduce da rovinosi dissesti e distruzioni irreversibili. E, se resta, quando emerge dalla profondità dei secoli, chiede d’essere inserito nei suoi estinti contesti, per come in sé medesimo l’oggetto li contiene e li rappresenta fino a far riverberare da sé, su di noi, luci che credevamo spente.

E non è forse, la scrittura della propria vita, anche uno speciale riandare ai luoghi, alle occasioni, ai volti che in ciascuno di noi il tempo depone e, quando non più vivi d’attorno, nell’intimo, in interiore, muovono congiuntamente o per opposizione – commuovono – noi, l’oggetto dell’autobiografia: l’«umana conchiglia»?

Scrive Carandini: «Ogni uomo è rivestito da una conchiglia: l’insieme di circostanze che lo avvolgono, cioè il circondario o ambiente. Non esiste un uomo isolato, ognuno è fatto da un contesto di appartenenze, comprese quelle perdute e ricordate».

Gli anni che trascorsero, han conferito all’oggetto residuo una patina, quasi una guaina di protezione a che si mantenga il ‘contesto delle sue appartenenze’. Forse in quelle tracce che all’oggetto provengono dal passato e il passato registrano indelebilmente come perdita nella sopravvivenza (il craquelage in un dipinto antico; la modanatura screpolata del bracciolo d’una poltrona; un marmo frammentario), stanno le elastiche «pedane» che Carandini evoca, capaci di proiettarci «nell’aldilà, nel mondo dello spirito e in quello dei morti che nella mente rivivono pur senza respirare». E aggiunge: «Gli oggetti sono stazioni da cui si può partire per la psiche e il mondo».

Ciascuno, allora, quando si appresta ad un’opera di introspezione, sembra farsi oggetto. Si tratta infatti di dare ai ‘reperti’, ai ‘lacerti’, alle ‘illuminazioni’, ai ‘frammenti’ un moto che li colleghi reciprocamente in raccordi significativi, tali che, nell’appropriato contesto, ricevano un impulso vivificante: quanto ingente sia la portata di un incontro o una convinzione ricevuta; o, diversamente, come tuttavia permanga una emozione che ci prese, sfiorandoci e resta intatta. E questa ‘leggerezza’ o quella ‘incisività’ riceveranno un loro più profondo senso dai dintorni e dalle attinenze dei corrispettivi intrecci.

Quattro anni fa Carandini ha pubblicato La forza del contesto, un libro, ha scritto Daniele Manacorda, che «ci aiuta a scorgere le linee di un’etica del contesto che è quasi una forma mentale attraverso cui la realtà ci appare come un intrico di tracce coerenti, dove le cose mute si animano e ci catturano trascinandoci nella durata del tempo e ci restituiscono l’immagine fantastica del nostro essere di ieri, di oggi e di domani, quasi come l’unica forma di immortalità possibile».