«Fermeremo la marcia»: è la minaccia lanciata ieri dal gruppo ultranazionalista Alperen Ocaklari, braccio giovanile del partito turco Great Unity Party. La marcia a cui si riferiscono è il Gay Pride di Istanbul, previsto per il 26 giugno. In una conferenza stampa tenutasi ieri il gruppo è stato chiaro: se non saranno le autorità nazionali a fermare la marcia (come Ankara tentò di fare lo scorso anno senza successo), allora saranno i loro membri ad agire.

«Non vogliamo assolutamente che camminino nudi sul terreno sacro del nostro paese durante il mese sacro di Ramadan. Lo Stato deve fermarli, tenendo in considerazione i valori nazionali»: così il leader del gruppo giovanile, Kursat Mican, ha lanciato le sue personali invettive. Il Great Unity Party, Bbp, è un partito islamista ultranazionalista e di estrema destra, con alle spalle già 26 anni di vita. Considerato vicino ai Lupi Grigi, non entra in parlamento dal 2002 quando ottenne l’1.1% alle elezioni legislative.

In giorni di sdegno per quanto accaduto a Orlando, il più brutale degli attacchi alla comunità Lgbt statunitense e globale, c’è chi prova a sfruttare le tensioni e ad approfittare delle spinte islamiste e destrorse del governo dell’Akp e del presidente Erdogan. Nel mirino una manifestazione che da 14 anni si svolge a Istanbul, a Taksim Square, da tempo considerato il simbolo della mobilitazione della base: dal 2003 quando i partecipanti erano solo una trentina si è arrivati a toccare il picco nel 2014 con 100mila partecipanti, quando al fianco della comunità Lgbt si schierò anche il movimento di Gezi Park.

Lo scorso anno Ankara – tramite il governatorato di Istanbul – provò a vietare la tradizionale marcia proprio citando il Ramadan: anche lo scorso anno il Gay Pride turco cadeva in concomitanza con il mese sacro musulmano. Ma le autorità si sono scontrate con la resistenza degli organizzatori e dei partecipanti: la polizia ha utilizzato i famigerati cannoni ad acqua, gas lacrimogeni, spray al peperoncino e proiettili di gomma per disperdere la folla, accusata di essere scesa in piazza senza autorizzazione.

Già lo scorso anno gli attivisti e la comunità Lgbt accusarono il governo di non voler colpire il movimento per motivi di orientamento sessuale, ma perché generalmente interessato a soffocare ogni minoranza, che sia politica, etnica o religiosa. Insomma, alla base sta la politica accentatrice che l’Akp porta avanti da un decennio. Non a caso la marcia del 2015 si tenne a pochi giorni dalle elezioni di giugno, che regalarono al movimento pro-kurdo un inatteso 13% e rifilarono al presidente Erdogan la maggioranza relativa, e non quella assoluta necessaria a modificare la costituzione.