Nei circa 2.676 anni di storia imperiale giapponese, sono stati ben 60, su 128, gli imperatori che hanno abdicato. Non stupisce dunque se Akihito, l’attuale sovrano celeste giapponese, dopo tanti rumors, ha sostanzialmente dichiarato in televisione di essere stanco, chiedendo ai politici nazionale di fargli la cortesia di pensare alla possibilità di un suo addio al trono.

Questa umanissima richiesta – da parte di quello che dovrebbe essere il dio vivente in terra – si scontra però con parecchie difficoltà. Il problema principale per Akihito è che nel 1889 – durante il periodo Meiji – venne stabilita l’impossibilità per l’imperatore di dimettersi. Da quel momento il trono sarebbe passato all’erede, solo a seguito della morte di chi sedeva sul Trono del Crisantemo.

La decisione nacque per evitare lotte per il potere capaci di scatenare guerre sanguinose. La scelta fu quindi dettata dalla ricerca della stabilità politica.

Lo straordinario discorso di ieri in televisione, registrato, da parte dell’attuale imperatore giapponese costituisce l’ennesimo sgarro alla tradizione imperiale compiuta da Akihito, il «sovrano del popolo» come talvolta è stato definito. Già nel luglio scorso si era diffusa la notizia sulla possibilità di abdicazione di Akihito, con conseguente salita al trono del figlio di 56 anni, Naruhito. E ieri l’imperatore, pur senza dirlo in modo diretto, non può farlo in pratica, ha specificato di essere stanco, di avere molti problemi di salute (è stato operato nel 2013 per un tumore alla prostata e poi ha subito un intervento alle coronarie) e di non sapere se riuscirà a garantire il suo ruolo di rappresentante del Giappone.

«Dopo i due interventi chirurgici ho cominciato a sentire un calo nel mio livello di forma fisica a causa della mia età che avanza e ho iniziato a pensare al futuro, su come devo comportarmi qualora risulti difficile per me portare le mie pesanti mansioni nel modo in cui ho fatto, e ciò che sarebbe meglio per il paese, per il popolo e anche per i membri della famiglia imperiale che seguiranno dopo di me». Parole che hanno sconvolto molti giapponesi, sebbene sia lecito chiedersi oggi cosa rappresenti, alla fin fine, l’imperatore.

Abbiamo detto dell’«umanità» di Akihito dimostrata dalle sue parole: si tratta di un uomo di 82 anni in carica dal 1989. Prima di lui c’era stato il padre Hirohito, uno che ha fatto sentire al popolo la sua voce per la prima volta quando nell’agosto 1945 annunciò la resa. Dopo la seconda guerra mondiale il primo strappo: l’umiliazione della sconfitta portò la costituzione giapponese a negare il ruolo divino dell’imperatore (e molti suoi poteri) su chiara imposizione degli alleati (uno sgarbo che ancora oggi è vissuto in modo tremendo dai giapponesi). Si dice anche che siano intercorse segrete contrattazioni tra alleati e giapponesi, per inserire una clausola che obbligasse Hirohito a dimettersi, sottolineando anche le sue responsabilità nell’aggressiva politica giapponese. Ma non se ne fece nulla, Hirohito rimase sul trono fino alla morte, nel 1989.

Il figlio, Akihito, è dunque il primo imperatore totalmente «umano». E forse è l’unico giapponese a credersi tale, poiché per tutti è l’Imperatore e se non c’è più un impero c’è pur sempre il regno shintoista di cui il Tenno è supremo sacerdote. In questo senso non si può negare una similitudine con un altro emissario divino che ha preferito ritirarsi, ovvero Ratzinger. Akihito però, a suo modo, è un innovatore: già nel 1956 aveva compiuto un gesto straordinario, sposando una «persona comune», Michico Shoda, conosciuta sui campi di tennis (provocando il boom di quello sport in tutto il paese).

Nel 2011 dopo Fukushima aveva affrontato il popolo con un discorso accorato, di grande umanità, con un linguaggio comprensibile; nel 2013 aveva chiesto di essere cremato. E ora chiede ai giapponesi: lasciatemi andare in pensione e morire tranquillo. La questione è la seguente: il parlamento dovrebbe provvedere a un cambiamento nella costituzione consentendo, si dice, anche una eventuale successione femminile (che pure storicamente c’è già stata).

Il problema è molto terreno: l’imperatore attuale incarna una «politica» di molto opposta a quella del leader dell’esecutivo, Shinzo Abe. Tutto l’afflato di Akihito sembra andare in una direzione di normalizzazione della sua carica e di diplomazia della pace; e non è un caso che Abe – benché si sia detto disposto a prendere in considerazione la richiesta di Akihito – pare sia tra i più intransigenti sul tema, avendo sempre negato la possibilità di dimissioni, che male si inserirebbero nel suo disegno di un Giappone nuovamente spavaldo sulla scena internazionale.

L’«umanissimo imperatore» è un intralcio all’istinto bellicoso del primo ministro: una delle tante contraddizioni del Giappone contemporaneo.