Una storia sulla «città ribelle e mai domata» degli ultimi anni a partire da un osservatorio speciale, quello della scuola Iqbal Masih, ora diventato anonimo comprensorio scolastico dopo che la controriforma imposta dall’allora ministro Mariastella Gelmini è diventata operativa. A scriverla è Luca Mascini, meglio conosciuto come Militant A, componente della posse Assalti frontali. Ma il suo libro Soli contro tutti (Editori Internazionali Riuniti, pp. 334, euro 15) può essere letto anche come un diario di viaggio nella «Roma meticcia» e nel movimento, svelando le sue capacità di «battere un altro tempo» da quello dominante. Pagine che alternano euforia perché tutto sembra possibile all’amara constatazione che è facile il ritorno al ritmo imposto dal potere. Questa oscillazione tra risate, commozione, rabbia, malinconia rivela la capacità di scrittura di Militant A già apprezzato per gli altri libri e i testi degli Assalti frontali. Un diario di viaggio colto, anche se questo termine è alieno nel lessico poetico e politico di Militant A. La sua è una cultura che viene da quella strada dove prende confusamente forma la «Roma meticcia» che consente ai singoli, uomini e donne, di manifestare la loro unicità.

Un marchio di fabbrica

Il punto di avvio è l’annuncio della proposta di reintrodurre il «maestro unico» nella scuola materna e elementare, proprio quando parte dei fondi tagliati alla scuola pubblica è stata dirottata alle scuole parificate e private in nome di una libertà che è quella del mercato. L’autore non è più un «giovane». Vive con una donna, insieme hanno deciso di condividere una casa, hanno due figlie e vedono in quella scuola del quartiere Centocelle, intitolata al ragazzo pakistano ucciso a dodici anni perché si era battuto contro il lavoro minorile, il luogo simbolo di un altro modo di vivere. Sono dunque passati molti anni da quando Militant A salì, insieme ad altri, le scale di una facoltà romana e cominciò a rappare, annunciando che con quella reinvenzione del coro nelle tragedie greche che sono state le posse si poteva fare politica e comunicazione in un altro modo da quanto finora conosciuto in Italia. È diventato «grande», ma il marchio ribelle di fabbrica è rimasto lo stesso. Sguardo scanzonato, parole taglienti e nessuna concessione a visioni rassicuranti e autoconsolatorie sulla realtà, che va guardata senza mai abbassare lo sguardo, perché chi non ti guarda negli occhi ha già rinunciato a battersi.

L’invasione delle piazze

Partecipa a riunioni, prende la parola in assemblea, diventando parte di una fitta rete di relazioni umane che consente di fare movimento. Non è dato sapere se l’autore abbia mai letto un testo femminista, ma ciò che descrive nel libro è una delle migliori rappresentazioni della pratica politica delle relazioni che si possono leggere. Per uno che fa «movimento per il movimento», passare da un incontro all’altro, da una conversazione nel cortile della scuola al veloce scambio di battute con un attivista di lunga data è storia nota questa della pratica politica delle relazioni, ma una consapevolezza in più su quanto quella pratica possa evitare la disperazione della sconfitta non guasterebbe. Già perché quella della sconfitta, o della vittoria, è l’ossessione della prima parte del libro. Il movimento contro la riforma Gelmini non può permettersi di perdere, perché in ballo c’è il futuro dei propri, dei nostri figli, scrive Militant A. Cresce, il movimento, conquista consensi, abbatte il muro dell’indifferenza o della tristezza della fatica del vivere che rende le giornate una corsa a ostacoli dove non c’è tempo per fermarsi a pensare o per apprezzare un cielo azzurro. Il movimento nel frattempo invade le piazze, trasborda nelle università. Qualcuno ha pensato bene di chiamarla l’Onda, ma dovrebbe considerare il fatto che senza questi genitori ridotti in stato di precarietà permanente gli altri precari, gli studenti universitari, non avrebbero «fatto paura» come poi è accaduto.

Quel movimento aveva capito molte cose. Aveva denunciato come nei tagli alla scuola si celasse un progetto politico di società, che riduce a merce la conoscenza, la salute, la vita tutta. In una canzone composta in quel periodo, il rap di Enea, c’era la difesa della scuola pubblica, laica e solidale, ma tutti sapevano, sapevamo che non volevamo difendere la scuola così come è: semmai ne volevamo costruire una che ancora non esisteva, se non in poche e tuttavia importantissime esperienze. La scuola pubblica non sono gli edifici o gli stipendi pagati dallo Stato, ma coincide con il lavoro delle insegnanti, del personale docente che prova, giorno dopo giorno, a dare forma a una realtà dove tutti, uomini e donne, nativi e migranti, possano diventare padroni della propria vita. Sogno illuminista, scriverebbe qualcuno. No, un principio speranza che coincide con quel semplice gesto di alzarsi, camminare eretti e costruire un mondo non più diviso tra chi è costretto a chinare la testa per necessità e chi invece su quella necessità si arricchisce.

Il movimento si espande. Militant A si illude che la vittoria è a portata di mano. Non è andata così. La sconfitta brucia ancora sulla pelle di tutti noi. Chi aveva figli alle elementari o alle medie ha visto le scuole «incattivirsi». Ogni insegnante ha provato a salvare se stesso. La pratica delle relazioni a lasciato il posto all’anomia, direbbe un francese avvezzo alla frammentazione sociale. Ma l’autore non demorde. Quell’utopia concreta di scuola laica, pubblica e solidale non è stata cancellata. Continua a vivere e si manifesterà quando una nuova onda prenderà il posto dell’attuale, triste risacca che consente un esercizio violento del potere costituito.

Le case da conquistare

In questo libro è raccontata anche un’altra storia. Quella dei rom del Canalone e della loro battaglia per avere una casa. Del razzismo che colpisce gli «zingari». Della rete di solidarietà che, maglia dopo maglia, viene costruita con pazienza e amore. Compaiono altri nomi, altri volti. Con felice ironia, Militant A ribalta in positivo gli stereotipi che accompagnano i rom e rappa, ancora una volta, versi spiazzanti: come sono cool questi rom. Per uno che fa movimento per il movimento, l’incontro con gli occupanti di case è scontato. Ed è all’interno del progetto di Metropoliz che i rom del Canalone saranno accolti, perché quella è la Roma meticcia che sta prendendo forma. Il diario di viaggio nella città ribelle e mai domata lascia così il posto all’attualità delle occupazioni di case e dei violenti sgomberi in un mondo marchiato a sangue dalla crisi che ha portato al centro della scena i vecchi e nuovi poveri. Categoria scivolosa quella della povertà, ma capace però di fornire un’immagine precisa di come non si voglia solo sopravvivere. Non scrive più di vincere o perdere, Militant A. Perché quella di uscire dalle facili illusioni e dalle vertiginose depressioni è una storia ancora da scrivere. È una storia urgente del presente da fare quella del movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti. Ed è cosa certa che Militant A sarà assieme a tutti noi che proveremo a scriverla.