«Ci stanno portando via le macchinette che ci danno da mangiare, ma siamo decisi a rimanere in presidio per difendere il nostro lavoro: Saeco deve ritirare i 243 esuberi annunciati». Stefano Stefanelli, delegato Fim Cisl e operaio del noto marchio di macchine per il caffè nello stabilimento di Gaggio Montano (Bologna), spiega come le tute blu siano decise a rispondere alla «provocazione» (i lavoratori la definiscono così) dell’azienda: l’aver spostato momentaneamente la produzione della «Intelia» in Romania, con la minaccia però di delocalizzarla permanentemente (rappresenta il 60-70% dei volumi prodotti a Gaggio). Tutto questo, alla vigilia del prossimo incontro fissato al ministero dello Sviluppo, martedì 19.

Facciamo un passo indietro e raccontiamo gli antefatti. I dipendenti della Saeco – la gran parte peraltro donne – sono in presidio da ben 50 giorni davanti alla fabbrica di Gaggio: protesta decisa dopo che la Philips – multinazionale Usa proprietaria del marchio dal 2009 – ha deciso improvvisamente, il 26 novembre scorso, di mettere sul piatto 243 esuberi su un totale di 558 lavoratori. «Si decide di ridurre il personale di quasi la metà quando il settore non va affatto male – dice un altro delegato, Raffaele Falzoni della Fiom Cgil – In Romania c’è già un grosso stabilimento della Philips, ed evidentemente si punta a disinvestire qui e a portare sempre più produzioni a Est, dove il lavoro costa un quarto del nostro. Noi chiediamo, al contrario, di attivare dei contratti di solidarietà, per elaborare nel frattempo un nuovo piano industriale per Gaggio, e salvare tutti i posti».

Il presidio non sta fermando la produzione, che continua regolarmente, ma vengono bloccate le merci in uscita: i camionisti inviati dall’azienda per ritirare le consegne dai magazzini vengono rimandati indietro dagli operai, e così a poco a poco le scorte si sono accumulate. Non si esclude, sentendo i delegati, che nei prossimi giorni – giusto per allentare la tensione in vista dell’incontro a Roma con la ministra Guidi – qualche camion possa essere lasciato passare, ma proprio nelle ultime ore il conflitto con la Saeco è salito di nuovo a causa di una decisione della proprietà.

Una nota stampa della Saeco ha infatti spiegato che il blocco deciso dai sindacati «ha purtroppo costretto l’azienda ad attivare le procedure per chiedere ai propri fornitori di indirizzare temporaneamente i componenti necessari alla produzione delle macchine automatiche della serie Intelia presso la fabbrica rumena di Orastie».

«L’obiettivo – prosegue la controllata Philips – è quello di rispettare i tempi di consegna», «e non rappresenta dunque lo spostamento di una linea produttiva». Ma subito dopo l’azienda precisa che «il ripristino in tempi brevi dell’agibilità operativa dello stabilimento di Gaggio Montano è la condizione necessaria perché questo provvedimento non diventi definitivo».

Il messaggio agli operai, insomma, sembra questo: se tirate la corda, quello che temete possa essere un destino per qualche centinaio di voi (la perdita del posto a causa di un trasferimento delle produzioni) potrebbe drammaticamente estendersi a tutti. Stefano Stefanelli, delegato della Fim Cisl, ammette di rendersi conto del rischio che la protesta porta con sé – «se va via anche la Intelia non ci sarà più occupazione neanche per i 315 che dovrebbero rimanere» – ma ribadisce che tutti i dipendenti sono uniti, determinati a proseguire la protesta.

Il presidio va avanti per turni regolari, sia il giorno che la notte, e non si è interrotto neanche per Natale e Capodanno. Una costanza che ha attirato l’attenzione della stampa, e soprattutto ha visto moltiplicarsi le manifestazioni di solidarietà da parte degli abitanti di questa parte di Emilia. La chiesa, i sindaci, le associazioni, tutti compatti per salvare il sito e i lavoratori di Gaggio Montano.

«Philips ci ha illuso, quando ha comprato la Saeco nel 2009 – concludono i rappresentanti di Fim e Fiom – Allora eravamo in 1100, in quattro stabilimenti. Ci era stato detto che sarebbe stato necessario riorganizzare, ma che avremmo mantenuto i nostri posti. Adesso è rimasta una sola fabbrica in Italia, con neanche 600 persone». Il timore è che si voglia conservare nel nostro Paese solo l’ideazione delle macchinette, il design e la tecnologia, giusto per poter continuare a esporre il prestigioso blasone del made in Italy: mentre la manifattura finirebbe praticamente tutta all’estero.