È ormai un «sessantino», Salvo Montalbano. Ne è passato di tempo da quando ha fatto la sua comparsa nelle pagine di uno scrittore, sceneggiatore, programmatore Rai tanto disincantato quanto erudito come è stato Andrea Camilleri. Ancora adesso tra una «pasta ncasciata» e gli spaghetti alla corallina cita Ludovico Ariosto, Bertolt Brecht, Omero, Marcel Proust, Borges, la poesia provenzale.
Il cuoco dell’Alcyon (Sellerio, pp. 251, euro 14) è stato pubblicato quasi in contemporanea con il ricovero dell’autore. È una storia nata inizialmente come brogliaccio per la sceneggiatura di un film italo-americano mai girato e che poi, dopo che il progetto si è arenato, Camilleri ha ripreso in mano per immergerla nelle atmosfere e in quella lingua inventata metà siciliano parlato metà lingua corrente italiana che hanno reso celebre il commissario di Vigata. Montalbano ha lo sguardo rivolto alla prossima pensione. Più prima che poi, dovrà passare le consegne a Mimi Augello o a Fazio per pendolare tra Boccadasse, dove vive l’eterna fidanzata Livia, e la sua Marinella. È il cerchio della vita al quale è inutile sottrarsi.

MONTALBANO, nel frattempo, è incuriosito da un misterioso veliero di lusso che si staglia all’orizzonte; poca attenzione dedica alle minacce ricevute dal padrone di una piccola fabbrica che sta chiudendo gettando nella disperazione duecento operai e famiglie. Il padrone se ne fotte di tutto, gli piace il gioco d’azzardo; sta sperperando il capitale di famiglia che pensa di sostituire con i profitti ricavati proprio da quel veliero che funziona come un bordello e una bisca per ricchi miliardari.
Il cuoco dell’Alcyon è da considerare la summa della concezione del giallo e del noir di Camilleri. Lontano dal polar francese, dalla dimensione metropolitana dell’hard-boiled americano e dal cosiddetto giallo mediterraneo, lo scrittore siciliano ha infatti preferito alla radicalità sovversiva del noir contemporaneo l’ironia, il distacco e l’allusione a ciò che non andava e non va nel mondo. Poca mafia, poco intreccio criminale tra politica ed economia: elementi presenti, ma sempre sullo sfondo perché basta evocarli per provocare la giusta indignazione.

LA SUA È UNA POLITICITÀ sotto traccia. Ed è in questa caratteristica il motivo del grande successo di pubblico di Montalbano, che prima di tutto è stato televisivo e poi cartaceo. Alludere più che nominare è la cifra del commissario e di una opinione pubblica che non vuol diventare movimento. Per Camilleri centrale è il divertimento, che non significa però disimpegno. I suoi romanzi fanno sempre ridere; e ridere fa sempre bene all’anima. E al pensiero critico, c’è da aggiungere.

IL RITMO DELLA NARRAZIONE si fa presto frenetico. C’è forse un complotto per fare fuori Montalbano e la sua squadra – Mimi Augello, Fazio, Catarella -; c’è un attentato alla fabbrica in dismissione. Il dito è puntato sugli operai buttati per strada come stracci usati. Montalbano è però un uomo del Novecento e respinge l’idea che siano proprio gli operai a distruggere la «loro» fabbrica con la dinamite. Ha ragione a diffidare di chi indica negli operai i colpevoli, anche se forse sarebbe meglio un bel botto invece che suicidarsi come fa uno di loro. I nemici da combattere vanno cercati tra gli ospiti dell’Alcyon. Gli operai furenti per il loro licenziamento o i migranti che sbarcano in Sicilia sono figure tragiche, ma di contorno in questa storia, a differenza di come strombazzano in tv e sui giornali gli scribacchini al soldo di imprenditori rapaci o di apprendisti stregoni della politica razzista. La realtà, annota Montalbano-Camilleri, non sempre è quel che appare.

QUELLA che il commissario gioca è una partita dove vita e morte sono variazioni del caso. Per vincerla si possono indossare anche le vesti del cuoco dell’Alcyon, mettendo in sordina una linea di condotta fin qui seguita da Montalbano: si combatte la malavita rispettando le regole.
Soltanto che non sempre è così; e se i cattivi sono anche sadici assassini li si combatte con ogni mezzo necessario. Violare la legalità è necessario se si vuole affermare giustizia. È un’antica «legge» quella dell’avere cura del mondo che Montalbano conosce. E che fa sua in questa storia dolceamara.