Un bagnasciuga al tramonto, sagome di surfisti in controluce. La traccia sonora dell’oceano che si infrange potrebbe sembrare in presa diretta ma, tra il rombo delle acque e il richiamo dei gabbiani, si fa strada una melodia elettronica. Mentre le immagini vagano oltre la scogliera, le conifere dense di resina, le architetture costiere e le panchine dove qualcuno ha inciso il nome proprio o del suo amore, la natura s’intreccia all’artefatto, la foresta si dilegua a favore dello spazio urbano e il suono naturale diventa quello sintetico di Sea of China di Patrick Cowley. Inizia così, sull’onda di una traccia che mixa analogico e digitale, Patrick di Luke Fowler, prezioso documentario breve dedicato al produttore musicale che ha dato forma al «San Francisco Sound» di fine anni Settanta con canzoni iconiche quali Menergy o il remix di I Feel Love di Donna Summer e tutto il lavoro di collaborazione con Sylvester. Ma anche le sue colonne sonore electro per i porno gay hanno fatto epoca e sono state riedite in anni recenti dall’etichetta Dark Entries Records. Il film ha viaggiato per diversi festival del mondo (in Italia a Pesaro) e tra pochi giorni passa sugli schermi dell’Indie Lisboa.

LE IMMAGINI in 16mm di una San Francisco tra cielo e terra, tra interni ed esterni, si intrecciano con la voce di Maurice Tani, collaboratore di Cowley, che ne ripercorre la vita dai tempi dell’università a quelli delle sperimentazioni pionieristiche nei territori della musica ambient e dance. Ne emerge il ritratto poetico di una vita e di una città in cui, il pieno fermento culturale tra libertà sessuale, innovazione artistica e tecnologica, è sfumato precocemente. «Inizialmente doveva essere un lungometraggio – ha raccontato il regista presentando il film al Cinéma du Réel di Parigi – poi è arrivata la pandemia e durante il primo lockdown non avevo altro da fare che riguardare le immagini girate nei due mesi di residenza artistica all’Headlands Centre for the Arts di Marin County. Ho pensato di usarle per un corto. Il fatto che fossero solo delle impressioni incomplete portava con sé una certa energia, un parallelismo con la vita di Patrick interrotta dall’AIDS».

Fowler stabilisce una relazione contrappuntistica, mai ridondante, tra immagine e suono. Le riprese in pellicola hanno la consistenza di tracce mnestiche o di miraggi, sono virtualmente una vita sognata di Cowley o il sogno di quel che di bello e intenso è potuto filtrare attraverso il suo sguardo. La musica, a sua volta, è il suo spirito, il suo lascito nel tempo. Patrick rinnova dunque la ricerca che Luke Fowler, regista indipendente e musicista di Glasgow, conduce con il suo cinema sui rapporti tra la visione e l’udito. Un rapporto che trova espressione in un uso originale della musica e in una dialettica mai scontata tra ritmo e immagini.

NE SONO esempio Electro-Pythagoras: A Portrait of Martin Bartlett (2017), sul compositore canadese che tra anni Settanta e Ottanta aveva iniziato a realizzare musica con il cosiddetto «microcomputer» esplorando nuovi territori di ricerca tecnica ed emotiva, e la trilogia A Grammar for Listening sui rapporti tra rumore, suono, musica e silenzio. Di ascolto trattava pure All Divides Selves (2011) sullo psichiatra R.D. Laing, autore, tra le altre, di opere come L’io diviso e La politica dell’esperienza. Quelli di Fowler sono dunque ritratti che propongono attraverso la loro stessa forma cinematografica modi interessanti di mettere in rapporto i sensi. Opere che nascono dal desiderio di entrare in contatto con una figura, una mente, un pensiero, una traiettoria biografica: «per me i film sono un’occasione di conoscenza, una forma di comunione, di incontro. La ricerca e la lavorazione devono poterti arricchire e nutrire mentalmente, artisticamente, creativamente, edificare idee e relazioni nuove. Per me la ragione di un film non è una storia forte o fare un buon pitch. Mi interessa molto di più l’idea di passare del tempo con qualcosa e saperne di più e questa è la vera differenza tra cinema d’autore e cinema commerciale».