Conobbe giovanissimo la dodecafonia, durante gli anni duri del fascismo e della guerra, quando a 17 anni iniziò a frequentare Francesco Malipiero, maestro dall’apertura musicale e culturale talmente ampia da spaziare da Monteverdi a Schoenberg. Luigi Nono compie i suoi studi con Maderna e negli anni ‘50 non possiamo non trovarlo a Darmstadt, l’importante punto di incontro e discussione tra i più giovani ed interessanti compositori europei. Nel ‘50 conosce Schoenberg e nel ‘52 si iscrive al PCI battendosi subito contro la posizione ufficiale del partito secondo cui la dodecafonia era una musica borghese. Il racconto dei suoi esordi lo fa lo stesso compositore nel documentario I film di famiglia che la figlia Serena, artista interdisciplinare, ricava dai super 8 e 8 mm girati dai genitori ( la madre è Nuria Schoenberg) che sarà presentato il 24 ottobre, ore 20,30, al cinema Massimo di Torino ospite del Museo Nazionale del Cinema. Un film che ci restituisce la dimensione affettiva intrecciata con quella politica e musicale del più importante compositore del secondo novecento. «Ho realizzato questo documentario quando ho riversato i film di famiglia su supporto digitale per la loro conservazione. Quando li ho rivisti, mi hanno colpito per le immagini, i ricordi e le situazioni riscontrate, convincendomi che si sarebbe potuto montare un documento che non riguardasse solo Nono e la sua famiglia ma un periodo artistico e politico molto interessante. È importante rivedere luoghi come Cuba, il Cile, Mosca durante gli anni ‘60 e ‘70 e ricostruire il lavoro e l’impegno politico di Nono e le sue relazioni, dichiara la regista, constatare come la politica in quegli anni fosse vissuta tra la gente e si occupasse dei problemi reali, cercando anche di sentire vicine altre realtà, problematiche e ingiustizie che avvenivano a livello globale».
Un documentario dallo sguardo delicato e al contempo evocativo, che ci consente di riconoscere nella dolcezza di un abbraccio a Nuria la passione per l’umanità e nelle risate che riecheggiano da una tavolata con gli amici l’impegno ed il rigore delle sue composizioni. Ci restituisce inoltre i suoni delle campane ma anche il fruscio dell’acqua alta del 4 novembre ‘66 alla Giudecca che tanto hanno ispirato il celebre compositore. Deliziosi i quadretti familiari, sembra di spiare dal buco della serratura. Le risate, le danze abbozzate e poi le figlie Silvia e Serena in braccio o mentre giocano nelle calli veneziane insieme alla madre. Le scene del pic nic in giardino con gli amici, mentre gioca a ping pong con la moglie, le passeggiate alla Giudecca col poeta russo Evgenji Evtušenko, le tavolate e le lunghe discussioni con Sartre, Rossana Rossanda, Giuliano Scabia. È il dibattito politico e il rigore con cui Nono porta avanti sperimentalismo musicale e impegno politico, tuttavia, la parte che più ci colpisce. Come dichiara Cacciari, che di Nono fu grande amico, il compositore ha vissuto quel periodo come un grande esperimento politico e culturale, « così come ha sempre vissuto la propria stessa esperienza artistica, una prova da affrontare con passione e lucidità insieme, con responsabilità, disincanto ed entusiasmo». Nono cerca un linguaggio nuovo «L’elettronica- spiega lui stesso nel film- ci mette in relazione con l’ambiente acustico del nostro tempo». Nel documentario lo vediamo mentre compone con Zuccheri, una musica istintiva, stridente «poiché si utilizzano intervalli armonici che usualmente non venivano utilizzati» spiega il compositore. Per la Fabbrica illuminata va all’Italsider di Genova dove registra il materiale acustico di base negli altiforni e nel laminatoio a caldo e a freddo. Quando deve metterla in onda, l’opera viene vietata alla radio, così la prima viene proposta a Venezia. Ad assistervi arriva una delegazione operaia con la quale discute fino alle 4 del mattino presenti Sartre e Rossanda. Il testo è del poeta veneziano Giuliano Scabia con quattro versi di Cesare Pavese nella parte finale. In America Latina alcune radio guerrigliere facevano sentire le sue opere e lui vi si reca per lunghi viaggi. Caracas, Cuba, riprende i volti della gente, i gesti, le scritte sui muri a Buenos Aires, i mercatini indio in Perù. A Santiago conosce Santiago Cruz, rivoluzionario cileno eliminato in segreto a 27 anni e a cui dedica una musica su testi di una poesia. Nel 67 con Victor Jara parla con minatori, sindacalisti e compagni. Miserrime case in legno con una stanza per famiglia, prive di servizi sanitari, grande mortalità infantile. Fa poi due soggiorni a Cuba. Mette in musica una lettera del Che, a leggerla è Fidel. L’ortodossia della sperimentazione va di pari passo con la passione politica dunque, entrambe superano le rigidità ideologiche ufficiali. Il cinedocumentario è accompagnato dalle musiche di Schoenberg, di Bertelli o degli Intillimani. Leggendarie le riprese delle feste dell’Unità alla Giudecca. Quella falce e martello eretta dai militanti del Pci che si vedeva dai traghetti che passavano per il famoso canale. Un monumento alla memoria non solo del padre ma di una epoca di passioni e utopie ormai finita.