Come per la Libia due anni fa, oggi in Siria. I ministri degli esteri europei ieri hanno approvato a vantaggio dei ribelli la deroga parziale all’embargo sul petrolio siriano. Non su quello controllato dal governo di Damasco, ovviamente. Significa che le società europee avranno la facoltà di importare il petrolio venduto dalla Coalizione Nazionale (CN) dell’opposizione che a sua volta potrà ricevere i macchinari necessari per l’estrazione. «Le autorità competenti nei Paesi membri dell’Ue potranno autorizzare tre tipi di transazioni: importazioni di petrolio e prodotti petroliferi, esportazioni alla Siria di materiale e tecnologia per l’industria petrolifera e del gas, investimenti nel settore petrolifero siriano», è spiegato nel comunicato diffuso al termine dell’incontro. Lo stesso era accaduto in Libia, quando il Consiglio Transitorio che controllava Bengasi e le regioni orientali del paese ebbe modo di riparare gli impianti di estrazione e di esportare il petrolio subito, grazie all’aiuto del Qatar, ora impegnato anche in Siria a sostegno dei ribelli.

Bruxelles aveva imposto un embargo sul petrolio siriano nel settembre del 2011 e la decisione di ieri permetterà ai ribelli di incassare ingenti fondi per  il «governo provvisorio» del «premier» Ghassan Hitto che dovrebbe amministrare le aree «liberate» nel nord-est della Siria nelle mani dei ribelli sunniti. Ieri il Consiglio nazionale siriano (Cns) dominato dai Fratelli musulmani e sostenuto dal Qatar, ha ulteriormente rafforzato la sua posizione di dominio sull’opposizione ottenendo che il suo presidente, George Sabra, prenda temporaneamente il posto di capo della Coalizione Nazionale in sostituzione del dimissionario Mouaz al Khatib.

L’Europa accellera ma ieri non è prevalso un unico orientamento sull’allentamento anche dell’embargo sulle armi, sempre a vantaggio dei ribelli. Tuttavia si sono fatte più forti le pressioni di Gb e Francia per l’invio di armamenti alle formazioni che combattono l’esercito regolare siriano. E’ difficile però che gli Europei decidano di dare ai ribelli le armi sofisticate che si rifiutano di fornire gli Stati Uniti, come è emerso alla riunione degli “Amici della Siria” della scorsa settimana a Istanbul. L’opposizione chiede armi antiaeree ma Usa e Ue – anche a causa della contrarietà di Israele che teme che passino in «mani sbagliate» – almeno per ora non forniranno i missili che potrebbero consentire ai ribelli di limitare la superiorità aerea delle forze governative. Israele peraltro ha confermato implicitamente di essere dietro i bombardamenti non lotano da Damascodi fine gennaio, quando un raid aereo ha colpito un convoglio siriano in apparenza con razzi antiaerei destinati ad Hezbollah in Libano. Il ministro della difesa, Moshe Yaalon, ieri durante una conferenza stampa congiunta con il Segretario della Difesa americano Chuck Hagel ha detto che «quando (i siriani) hanno oltrepassato le linea rossa, abbiamo agito».

La guerra civile siriana intanto si conferma un immendo bagno di sangue. Sarebbero circa 483 le vittime degli scontri tra esercito e ribelli registrati in due sobborghi di Damasco: Jdeidet al-Fadl e Jdeidet al-Artouz. E’ difficile stabilire quanto sia accaduto sul terreno in assenza di fonti indipendenti. Secondo l’opposizione si tratterebbe di veri e propri ”massacri” compiuti dai soldati governativi attraverso esecuzioni sommarie di civili e bombardamenti. I media statali invece riferiscono che «l’esercito ha inflitto perdite pesanti ai terroristi a Jdeidet al-Fadl» e la tivù filo-governativa Addunya ha mostrato immagini di una zona «liberata da terroristi» con la gente che saluta i soldati.