Josep Borrell ha svicolato. Durante la conferenza stampa sui temi del meeting del Consiglio degli affari esteri dell’Ue ieri a Bruxelles, l’Alto rappresentante della politica estera europea – da poco rientrato da un viaggio in Medio oriente – si è limitato a dire che la questione israelo-palestinese sarà affrontata a marzo. In sostanza se ne riparlerà dopo le elezioni israeliane del 2 marzo che forse metteranno fine a oltre dieci anni di potere ininterrotto del premier di destra Netanyahu. Resta perciò vaga la «risposta» dell’Ue all’Accordo del secolo, il piano di Donald Trump, e alle probabili, anzi certe, mosse unilaterali di Israele da cui proprio Borrell aveva messo in guardia nei giorni scorsi suscitando l’ira di Tel Aviv.

 

Le cose ieri sarebbero dovute andare diversamente, anche se nessuno si aspettava una presa di posizione incisiva da parte dell’Ue. Annunciando la partecipazione del ministro Jean-Yves Le Drian alla riunione a Bruxelles, il sito di Quai d’Orsay sottolineava tra i punti in agenda la crisi mediorientale, Idlib ma anche la questione israelo-palestinese. La Francia è tra i paesi europei più critici del piano di Washington anche se mantiene un piede dentro e uno fuori dall’iniziativa avviata da alcuni paesi dell’Unione capeggiati dal Lussemburgo che chiedono il riconoscimento immediato dello Stato di Palestina nei Territori occupati del 1967 se Israele avvierà l’annessione di ampie porzioni di Cisgiordania occupata. Iniziativa – alla quale non partecipa l’Italia – che non farà strada considerando l’appoggio che diversi Stati europei garantiscono a Israele quando l’Ue prende decisioni in Medio oriente.

 

I palestinesi contano sull’Europa, troppo in verità rispetto a ciò che Bruxelles è pronta a fare in concreto per i loro diritti. Il ministero degli esteri dell’Anp ieri ha invocato una «azione internazionale», ma si riferiva chiaramente all’Ue, per bloccare l’Accordo del secolo il cui scopo – ha scritto in un comunicato – è soltanto «la liquidazione della causa palestinese». Ramallah guarda con preoccupazione all’annuncio della formazione di un Comitato congiunto israelo-statunitense incaricato di mappare le aree che Israele si accinge ad annettere. Il premier dell’Anp Mohammed Shtayyeh, a margine della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, si è detto sicuro che il piano Trump «sarà seppellito molto presto» e si è mostrato soddisfatto per la pubblicazione la scorsa settimana, da parte del Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani, di una lista di oltre cento imprese compagnie israeliane ed estere che in violazione delle leggi internazionali operano negli insediamenti coloniali in Cisgiordania. Quindi ha ironizzato sulla «differenza» tra Netanyahu e il leader dell’opposizione Gantz che, ha detto, «non è superiore a quella tra una Coca Cola e una Pepsi». Shtayyeh però sa bene che i suoi margini di manovra e quelli del presidente Abu Mazen sono limitati e che la contrarietà internazionale all’Accordo del secolo è solo in linea di principio. Le sanzioni europee contro Israele alle quali è sembrato alludere Josep Borrell nei giorni scorsi non saranno mai approvate dall’Ue.

 

Netanyahu da parte sua cerca di sfruttare in campagna elettorale il nuovo regalo ricevuto da Trump. Domenica ha sottolineato con soddisfazione la composizione del comitato congiunto israelo-statunitense per la mappatura precisa delle aree della Cisgiordania palestinese destinate all’annessione, fra cui la valle del Giordano e gli insediamenti coloniali. Aree destinate «a diventare per sempre parte dello Stato ebraico», ha proclamato il premier ripreso da tutti i mezzi d’informazione locali. Netanyahu ha anche rivelato che un aereo israeliano ha sorvolato sabato per la prima volta il territorio del Sudan e che questo permetterà ai cittadini dello Stato ebraico di poter raggiungere l’America Latina con tre ore di volo in meno, non dovendo più passare dalla Spagna e attorno all’Africa. Netanyahu, che due settimane fa aveva incontrato in Uganda il leader sudanese Abdel Fattah al-Burhan, ha aggiunto che Israele sta discutendo di «una rapida normalizzazione» nelle relazioni bilaterali con il paese africano.