Preoccupazione, certo, e anche attenzione massima a come la situazione evolve in Italia, ma l’emergenza Coronavirus per ora non è tale da spingere l’Unione europea a sospendere il trattato di Schengen. Le frontiere dunque restano aperte anche perché, spiegano da Bruxelles, quella di ripristinare i controlli ai valichi di confine è una richiesta che deve partire dagli Stati membri e finora, sottolineava ieri il portavoce della commissione Affari esteri, Adalbert Jahnz, «non abbiamo ricevuto alcuna notifica dagli Stati in questo senso».

Sulle misure estreme, sembra dunque prevalere ancora il buon senso. Questo non significa che l’Italia, con i suoi 229 casi di contagi conclamati fino a ieri sera, non resti un sorvegliato speciale. Anzi. «Seguiamo con grande attenzione la situazione e ci preoccupa, ma abbiamo contatti regolari con il ministro Speranza e non possiamo che felicitarci con le autorità italiane per la rapidità e la trasparenza con cui hanno agito», hanno assicurato i commissari della Salute e delle Emergenze, Stella Kyriakides e Janez Lenarcic.

La commissione ha anche stanziato 232 milioni di euro destinati agli Stati per il contrasto alla diffusione del virus e annunciato per oggi una missione congiunta in Italia dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dell’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, con sede a Stoccolma, missione utile a una verifica sul campo la situazione. Anche i due commissari, comunque, hanno escluso la possibilità che Schengen possa saltare: «Per il momento l’Oms non ha consigliato di imporre restrizioni né ai viaggi né al commercio», ha ricordato Kyriakides.

Quanto accade in Italia, e la decisione di sottoporre a test i casi sospetti, spingerà probabilmente le cancellerie europee a rivedere le misure adottate finora nei rispettivi Paesi. Per oggi a Roma, convocata dal ministro Speranza, è prevista una riunione dei ministri della Salute di Francia, Austria, Slovenia e Svizzera proprio per coordinare le iniziative da intraprendere e non è detto che altri Paesi non decidano di allinearsi al rigore italiano. Finora, infatti, non ovunque è prevista la quarantena per quanti fanno ritorno dalla Cima, né sono stati bloccati i collegamenti aerei mentre ci sono paesi in cui i test vengono effettuati a chi volontariamente dichiara di aver viaggiato in un Paese a rischio. Non è detto, però, che le cose debbano per forza restare così. «Un virus non si ferma a un confine», ha spiegato ieri il tedesco Jens Spahn annunciando la sua presenza al vertice romano.

Non manca però anche chi, come Irlanda e Federazione bosniaca, ha deciso di sconsigliare ai suoi cittadini di venire in Italia. Sul sito del ministero degli Esteri di Dublino si legge infatti di evitare viaggi «nelle aree interessate» dal diffusione del virus indicando cinque regioni: Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna e, a sorpresa, Lazio mentre si sta valutando cosa fare con la partita del Sei nazioni di rugby Irlanda-Italia prevista per il 6 marzo prossimo a Dublino. Le autorità sanitarie della Federazione croato-musulmana, una delle due entità che compongono la Bosnia-Erzegovina, hanno invece sconsigliato le gite scolastiche in Italia e in viaggi in Italia, Cina, Corea del Sud e Iran.