Spiragli di vita per il dopo-Covid. I cittadini europei avranno un “pass” per poter viaggiare liberamente all’interno della Ue. Lo ha annunciato ieri la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Il 17 marzo verrà annunciato un “pacchetto” in vista di una riapertura dei viaggi, oggi intralciati da decisioni nazionali.

«L’obiettivo è certificare le persone vaccinate, i risultati dei test di chi non si è potuto immunizzare e le informazioni sulla guarigione dal Covid, rispettando la protezione dei dati, la sicurezza e la privacy», ha precisato Ursula von der Leyen. Sarà un Digital Green Pass, non un “passaporto” che potrebbe avere aspetti discriminatori. «Lavoriamo a un certificato comune» ha affermato il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni. «La Commissione presenterà un pacchetto sui viaggi e la revoca delle restrizioni per una riapertura comune sicura» ha aggiunto il commissario Margaritis Schinas.

La Commissione cerca di mettere un po’ d’ordine nella confusione nata dall’angoscia di un’altra estate di crisi. Molte questioni devono ancora essere risolte, ma la Ue intende proporre un documento comune, che permetta di muoversi liberamente.

La richiesta è venuta dal Consiglio europeo della scorsa settimana. Alcuni paesi si sono già mossi autonomamente, minacciando confusione. La Grecia ha persino già stipulato accordi con Israele, Cipro e la Serbia per un certificato che permetta le vacanze (con Tel Aviv un accordo, firmato il 9 febbraio, entra in vigore il 1° aprile) e già sta negoziando con la Gran Bretagna in vista dell’estate. La Danimarca ha già un documento. La Svezia ci pensa. La Spagna, l’Austria, la Grecia, Cipro e adesso anche l’Italia con il nuovo governo Draghi, sono d’accordo e premono per fare in fretta. Altri paesi – Germania, Francia, Belgio, Olanda – restano prudenti, ma le dighe crollano. In Germania, che ha chiuso le frontiere con il Tirolo e la Repubblica ceca mentre impone restrizioni con la Mosella, la Baviera sta già facendo dei test su un “passaporto”.

In Francia, Emmanuel Macron, pur considerando la questione «prematura» vista la penuria di vaccini, ha superato l’ostilità iniziale e evocato giorni fa, senza dare dettagli, un «pass sanitario», per poter andare al ristorante o al cinema e a teatro. Il Consiglio economico e sociale ha persino avviato un sondaggio, con la domanda: «Cosa pensate del passaporto vaccinale?». La preoccupazione è di non creare discriminazioni, prima di tutto a causa del difficile accesso ai vaccini, ma anche più a lungo termine per coloro che rifiutano l’iniezione, in un paese dove i no-vax sono forti e il rifiuto dell’obbligatorietà del vaccino potente. Il primo ministro austriaco, Sebastian Kurz, ha proposto un certificato che, oltre alla vaccinazione, tenga in conto anche il test e la guarigione.

C’è inoltre la questione di quali vaccini saranno validi: Gentiloni ha evocato quelli autorizzati dall’Ema, ma l’Ungheria emette già un certificato dove non è segnalato il tipo di vaccino (perché ha adottato anche lo Sputnik V russo, non autorizzato dall’Ema).

Il Digital Green Pass apre uno spiraglio, ma pone al tempo stesso seri problemi. L’Oms invita a una grande prudenza: se l’Europa può sperare di avere i vaccini entro tempi brevi, il mondo povero dovrà aspettare. La Iata, che riunisce le compagnie aeree, chiede da tempo un “passaporto”, mentre si oppone il World Travel and Tourism Council, l’organizzazione internazionale del turismo. In Gran Bretagna, dove il governo è favorevole, una petizione contro il passaporto vaccinale ha raccolto in pochi giorni più di 200mila firme. In Italia, il Garante della Privacy si oppone a iniziative private o regionali (non fa riferimento alla proposta Ue) e chiede una legge specifica che garantisca il diritto alla riservatezza. La questione principale è garantire la privacy, non trasformare il pass in un nuovo strumento di controllo da parte degli stati o di privati e in un elemento di vulnerabilità di fronte agli attacchi degli hacker (che possono vendere i dati rubati).