Sono musiche alla ricerca di un’immagine, e la cosa di per sé non ci sorprende, conoscendo la familiarità di Ludovico Einaudi con la sintassi cinematografica. Ma in Underwater, suo ultimo lavoro discografico, tale qualità risulta in qualche modo accentuata attraverso funzioni semantiche già in uso presso i compositori romantici e simbolisti.
Lo dicono titoli come Natural Light, Indian Yellow, Luminous. Una o due parole sufficienti a connotare il testo musicale e suggerirne un completamento visivo, «una possibile chiave di lettura, ma sempre aperta, un po’ come quando Beethoven aggiungeva un’indicazione poetica alle sue sonate: Moonlight resta certamente più impresso che Opera 27 n. 2. Cerco degli abbinamenti tra due nature diverse, una sonora e una letteraria. Rolling Like a Ball ad esempio mi piace per la sua semplicità quasi ovvia».
Da Debussy derivano invece certi stilemi pianistici come quelli della parte centrale di Swordfish — «un tipo di arpeggio che ricorda anche a me alcuni suoi brani che studiavo in gioventù», conferma Einaudi — e soprattutto quella ricerca di matrice simbolista sulla dinamica e sul timbro, catturato attraverso una ripresa microfonica che lo pone in primissimo piano. «Il suono è stato molto curato sin dalla preparazione del pianoforte. Ho fatto varie sedute assieme all’accordatore per avere questo timbro così felpato. Il mio obiettivo era ottenere una sensibilità tattile, come se si suonassero le corde del piano direttamente con le dita, abolendo i martelletti».

C’È IN QUESTE nuove composizioni un requisito di cantabilità anch’esso ben radicato nella scrittura minimalista del compositore torinese, che non a caso assume la canzone come assoluto modello di riferimento: «La caratteristica principale di questi brani è il loro sapore melodico, tanto che li considero delle canzoni strumentali, anche dal punto di vista formale e della durata, mediamente tra i tre e i quattro minuti. Volevo restare dentro il respiro della canzone, che non supera mai la soglia del gesto poetico che arriva e se ne va». E questo è anche il modo per marcare una netta differenza con il precedente lavoro Seven Days Walking, quasi sei ore di musica suddivise in sette parti. «Volevo qualcosa di più breve, di più leggero, come quei romanzi che non superano le 250 pagine».
Quando gli si chiede in che misura l’impulso compositivo iniziale si collochi tra mente, dita e carta, Einaudi non ha esitazioni nel valorizzare il momento improvvisativo sullo strumento «che ovviamente segue direzioni diverse da quelle del jazz.
C’è sempre un pensiero-guida, è un’improvvisazione che vuol farsi composizione. Registro variazioni, le risuono cambiando l’andamento, più lento, più veloce… questo materiale poi diventa la base del brano finito». Un processo che è laborioso per alcuni pezzi ma quasi istantaneo per altri, «che sono venuti di getto e avevano un sapore che avrei rischiato di perdere lavorandoli troppo. C’è sempre un equilibrio molto sottile da trovare».

LE DODICI TRACCE di Underwater sono in sostanza un diario musicale che parte dai giorni del primo lockdown, collezionando appunti fino a tutta la prima metà del 2021. «Ho scritto senza nessuna prospettiva, né scadenze, come facevo a diciott’anni» dichiara rimarcando il privilegio di poter lavorare senza pressioni: «Ogni giorno scrivevo qualcosa, senza ragionamento logico, per il semplice gusto di farlo. Mi piace sicuramente di più quando le cose nascono in modo spontaneo, trovo che abbiano una loro purezza, un’ identità che al di fuori del tempo assume una sua nobiltà che non è legata al quotidiano, alla necessità».