A Gaza le bombe possono tornare (e tornano) in qualsiasi momento e si aggiungono ai problemi di ogni giorno. Non un trauma unico e definito nel tempo, ma eventi ciclici che pervadono gli atti semplici e abitudinari, che occupano con prepotenza gli spazi di tutti i giorni. La difficoltà di intervento può essere affrontata con il gioco. Ne parliamo con Valentina Venditti, capo progetto dell’ong italiana CISS che lavora a progetti di ludoterapia nel nord della Striscia.

Percentuali altissime di bambini gazawi soffrono di disturbi post traumatici da stress. Di che cosa si tratta?

I PTSD sono un insieme di sintomi psichici che insorgono in seguito all’esposizione a eventi stressanti e di estrema gravità per la vita o l’integrità fisica propria o degli altri. Possono comparire subito dopo il trauma, ma anche a mesi o anni di distanza. I sintomi sono sia mentali (difficoltà di concentrazione o comprensione) che psico-somatici (dolore fisico a testa e stomaco, difficoltà di respirazione, perdita di peso). Tanti perdono l’appetito, fanno la pipì a letto, mostrano un elevato tasso di aggressività, non dormono o fanno incubi ricorrenti in cui rivivono il dramma. La perdita delle case ha effetti devastanti. La casa è un posto dove sentirsi al sicuro e ha un significato simbolico che va al di là della concretezza del luogo fisico: è l’equivalente della madre. Il bambino, dopo un raid, imputa indirettamente questa paura al genitore, figura che dovrebbe proteggerlo. Il trauma danneggia così i rapporti familiari: il bambino non si fida più e sul genitore si riflette tale carenza.

È possibile stabilire quanti gazawi soffrono di PTSD?

Secondo studi del Gaza Mental Health e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dopo tre anni dall’operazione Piombo Fuso, il 67% dei bambini ne soffriva ancora. Dopo Colonna di Difesa il problema è riesploso. Il CISS ha compiuto un’indagine dopo l’offensiva israeliana di due anni fa: il 45% di 420 bambini presentava i sintomi post-traumatici da stress e la totalità di loro altri sintomi che se non trattati sarebbero potuti sfociare in disturbi seri.

Se intere generazioni soffrono di disturbi psico-fisici, quali sono le conseguenze per l’intera società?

Molti dei bambini hanno vissuto due attacchi, a cui si aggiungono azioni cicliche (missili, spari della marina, bombardamenti). Ogni rumore, un fuoco d’artificio o un tuono, provoca paura nel bambino. E di notte la paura cresce in assenza di elettricità. Ciò genera un aumento innaturale della violenza nella società: la mancanza di controllo sui fattori esterni amplifica l’aggressività. La continua esposizione al trauma mina il normale sviluppo psicofisico del bambino. La sfida è la creazione di strumenti di protezione.

Quali sono le migliori modalità di intervento?

Ogni evento traumatico ha un inizio e una fine. A Gaza no, l’esposizione è continua. Ai bombardamenti si aggiungono l’assedio e la condizione economica che colpiscono gli adulti. Da qui la necessità di creare luoghi protetti, che i bambini stessi costruiscono insieme ai genitori, luoghi sereni in cui i bambini si sentano liberi di esprimersi. La chiave di volta è la ludoterapia: il nostro intervento è strutturato in attività di supporto psico-sociale attraverso la creazione di ludoteche sostenibili in quattro centri di Beit Lahiya, una delle zone target perché vicine alla ]buffer zone. I bambini hanno decorato stanze vuote e costruito giochi con materiali di riciclo, processo che ha contribuito ad accrescere il senso di appartenenza alle ludoteche. Qui svolgiamo laboratori attraverso gioco, arte e teatro, monitorati da uno psicologo. Con il gioco il bambino esprime il trauma a volte vivo nella memoria, in altri casi completamente rimosso. Le altre componenti del progetto sono la clinica mobile e la clownterapia in due centri pediatrici.

Dopo tre anni qual è il vostro bilancio?

Il CISS lavora a Gaza con 515 bambini. I risultati si vedono, sebbene siano processi lunghi. Dopo Colonna di Difesa i bambini che avevano un supporto psicosociale hanno reagito al nuovo trauma molto meglio rispetto a chi non ne aveva mai usufruito. Affrontare il trauma è fondamentale se l’obiettivo è difendere i diritti dei minori in un contesto di emergenza cronica. La diminuzione dell’angoscia non ha riattivato soltanto la crescita emotiva, ma anche le funzioni cognitive: i bambini hanno riacquistato concentrazione e creatività.