Nei secoli centrali del medioevo la Cristianità europea vide rinascere la propria cultura a contatto con le tradizioni confinanti, come quella orientale e quella arabo-musulmana; sino a quel momento, parlando di «magia» (un termine di sintesi peraltro assai raro all’epoca) ci si riferiva alle pratiche di stampo popolare, lascito di tradizioni precristiane. Ma il rinnovamento del XII secolo importava nel bagaglio culturale degli europei testi della tradizione ellenistica, e dunque greci, persiani, ebraici. La Spagna della cosiddetta reconquista era un crocevia di culture – cristiana, ebraica e araba -, e dunque terreno fertile per le traduzioni e l’acquisizione di nuove conoscenze; fra la seconda metà del Duecento e primi del Trecento vi operavano grandi personalità quali Ruggero Bacone, Raimondo Lullo e Arnaldo da Villanova, animati da una profonda tensione mistica che sfociava nell’interesse per le discipline magico-cabbalistiche e alchemiche. Alla corte di Alfonso il Saggio, re di Castiglia (vissuto prima dell’ascesa al trono per molti anni in quella Toledo che era il crogiuolo di tutte le scienze e le arti ispaniche), che regnò tra 1252 e 1284, vennero tradotti e analizzati numerosi testi di tal genere; allo stesso sovrano si attribuisce la composizione di un lapidario e, soprattutto, per sua volontà fu tradotto in spagnolo e in latino un testo arabo di magia astrale, il Picatrix, destinato ad avere grande diffusione nel Rinascimento; in esso non era solo espressa una concezione di tipo teorico-filosofico sull’organizzazione del cosmo, ma v’erano anche numerose indicazioni e formule di magia pratica operativa. Altri centri di traduzione esistevano nel vicino Oriente dov’era sorto il regno di Gerusalemme e nell’Italia meridionale normanna e poi federiciana: ma gradualmente la voglia di conoscere questa tradizione si era diffusa ben oltre tali confini.

PUR CHIAMANDOSI genericamente La magia nel medioevo (Carocci, pp. 166, euro 15), la sintesi di Ilana Parri ricostruisce la storia di questa specifica forma di ritualità esoterica, partendo dal XII secolo per arrivare alle soglie del Rinascimento. C’è spazio, però anche per i paralleli: i libri magici attribuiti a Salomone, di origine ebraico-ellenistica, come la «Piccola chiave» di Salomone, che servivano al controllo dei demoni. Oppure c’è una sezione dedicata alla magia nel mondo arabo, perché come detto influenza quella europea. In effetti, il mondo magico musulmano è estremamente ricco per quanto anche assai composito.
Disponiamo di due fondamentali classificazioni delle arti magiche, paragonabili a quelle tentate dai teologi in Occidente. Si tratta di quelle di Hajji Khalifa e di Ibn Khaldun. Secondo la prima, la magia fa parte delle scienze fisiche e comprende una serie di concetti e di tecniche, tra cui la divinazione, gli incantesimi, i carmina. La seconda si basa sulla prima per distinguere la magia nelle tre grandi sezioni della magia «nera», della teurgia e della magia «bianca» o naturale. Gli autori islamici insistono molto sulla distinzione tra una magia lecita e una illecita. In Avicenna, nello pseudo-Makrizi, in Ibn Khaldun, nell’al-Khindi sul quale si sofferma Parri, per citare solo qualche autore tra i più noti, appare chiaro il legame, strettissimo, tra magia islamica e magia ellenistica; comuni le credenze riguardanti i filtri erotici, la magia tempestaria, il malocchio, nonché l’anima del defunto per morte violenta che vaga reclamando vendetta.

DINANZI al diffondersi di questo genere di magia, le autorità ecclesiastiche cominciarono a prendere alcune misure. In particolare, fu Tommaso d’Aquino ad avviare una chiara condanna della magia come scienza diabolica, circostanziando al tempo stesso la natura e i poteri dei demoni e distinguendo tra il prodigio magico e il miracolo. Nel sottolineare che il mago, ingannatore, era a sua volta il primo a venir ingannato dai demoni i quali fingevano di sottometterglisi, Tommaso aveva cura d’osservare che certe scienze ritenute solitamente connesse alla magia, per esempio l’astrologia, potevano viceversa tutte risolversi sul piano naturale. La pratica magica, l’evocazione demoniaca, hanno come scopo precipuo la divinazione, mediante la quale il mago – e il suo cliente – conoscono gli eventi futuri, e grazie a tale prescienza possono dominarli o credono di dominarli. Tommaso d’Aquino non ha dubbi nel condannare la divinazione, da essa distinguendo la razionale previsione di cose che di necessità debbono avvenire e la rivelazione divina.

Erano soprattutto le evocazioni demoniache dei testi di necromanzia o negromanzia (come si diceva confondendo il nekros greco con il nigrum latino) a preoccupare, così come inquietava l’idea sempre più diffusa che donne e uomini stringessero patti con il diavolo per servirlo: era il presupposto della nascita del sabba, ma anche dell’idea della possessione demoniaca da esorcizzare. Non molto diffusa nel medioevo, divenne sempre più importante in età moderna, come dettaglia l’attenta ricostruzione di Francis Young (Possessione. Esorcismo ed esorcisti nella storia della Chiesa cattolica, edizione italiana a cura di Andrea Nicolotti, Carocci, pp. 320, euro 29). Due capitoli iniziali sono dedicati ai secoli fra IV e XV, mentre la ridefinizione del cattolicesimo operata dalla Controriforma gioca un ruolo centrale, al pari della contemporaneità nella quale l’esorcismo ritorna per rispondere a preoccupazioni nuove, come mostra anche la diffusione del dibattito e la rappresentazione di possessione e di esorcismo attraverso i media, cinema in testa. Un percorso di grande interesse per uscire dall’idea che certi fenomeni siano relegati a un immaginario «oscuro» del passato lontano.