«Un film lo fai perché ami i personaggi, perché ami gli attori che interpretano quei personaggi. All’inizio non ti poni domande tematiche. A posteriori, penso che Bones and All sia una fiaba sulla solitudine dell’esistere e, contemporaneamente, sul desiderio di spezzare questa solitudine attraverso l’essere guardati da un altro. Forse di tutti i miei lavori, questo è quello che affronta in modo più diretto il tema della solitudine». Lontano dai tappeti rossi, dagli appostamenti e dagli inseguimenti alla star, insomma distanti dai clamori del Lido, dove Bones and All era stato proiettato in concorso alla Mostra di Venezia con relativo Leone d’Argento e Premio Marcello Mastroianni all’attrice emergente Taylor Russell, Luca Guadagnino e Timothée Chalamet sono tornati a parlare del film basato sul romanzo omonimo di Camille DeAngelis, in sala dal prossimo 23 novembre.

UN’OCCASIONE per riflettere su un lavoro che attraversa diversi generi, senza sposarne uno in via definitiva, dall’horror alla storia d’amore, dal dramma sociale e famigliare al road movie. Un viaggio che attraversa lo sterminato entroterra degli Stati uniti all’epoca di Ronald Reagan. E come ha tenuto a precisare Guadagnino, un film di personaggi, di vicende umane, dove il genere, appunto, è un espediente per raccontare emozioni, sentimenti, esperienze, anche estreme, dell’esistenza umana.
I «teneri» cannibali di Guadagnino sono «condannati a una solitudine inesorabile, al vagabondaggio», sono radicalmente diversi dagli eroi della Marvel che pur nel loro spaesamento, hanno un luogo riconoscibile dove ritrovarsi, possono esprimere un senso d’appartenenza. In altre parole hanno il conforto del mainstream e del franchise.
In un film che indaga anche sulle diverse figure dei mentori, non potevano mancare dei riferimenti sia interni alla storia che alle intenzioni dell’autore: «Ho letto prima la sceneggiatura che il romanzo. Nel libro, Maren è abbandonata dalla madre ed è alla ricerca del padre. Il film parla invece di una ragazza che viene lasciata dal padre e che prova a rintracciare la madre. Nel film, dunque, gli adulti, i padri, sono persone ciniche che non vogliono offrire ai ragazzi alcuna speranza. Non li spingono alla rivoluzione». Mentre a proposito del riprendere dai maestri, Guadagnino ha spiegato che «amando il cinema, lo sforzo è di capire come avrebbe ragionato, cosa avrebbe fatto in quella situazione, ad esempio, Nicholas Ray. Pronuncio questo nome perché è forse il regista a cui ho pensato di più rispetto al film».

Timothée Chalamet

MENTORE è stato certamente Guadagnino per Timothée Chalamet. «A pagina 45 della sceneggiatura appare il personaggio di Lee e a pagina 47 avevo capito che l’unico Lee possibile fosse Timothée», ha confessato il regista prima che l’attore potesse ringraziarlo per aver rinnovato un fecondo sodalizio.Senza Luca non sarei qui, non avrei portato a termine tutti i progetti che ho realizzato da quando mi ha voluto in «Chiamami con il tuo nome». Per me è stato un mentore

«SENZA LUCA non sarei qui, non avrei portato a termine tutti i progetti che ho realizzato da quando mi ha voluto in Chiamami col tuo nome. Per me è stato un mentore allora e continua a esserlo oggi. Una roccia». Per l’attore che interpreta Lee e che a un certo punto incontra Maren, spezzando l’incantesimo della solitudine, questa è certamente una delle migliori prove di maturità. Costretto a esplorare dimensioni umane inedite eppure così universali. Non a caso, a proposito dell’isolamento del suo personaggio, Chalamet ha prontamente fatto notare quante affinità vi siano tra Lee, Maren e gli altri emarginati di Bones and All e l’umanità di ieri e di oggi, costretta alla disgregazione dalle diverse emergenze che colpiscono il pianeta.
Se Chiamami col tuo nome era un viaggio interiore, un’esplorazione di sentimenti ancora non provati, Bones and All è un vero e proprio road movie, un tragitto negli Stati uniti forse meno visibili (anche se molto rappresentati nella letteratura e nel cinema) che però alle urne decidono le sorti del paese e, forse, del mondo intero. «La nostra missione era quella di non stare sopra quei luoghi e quelle persone, ma di essere vicino, di porsi accanto, alla stessa altezza. Una delle cose che ho sempre trovato fastidiose in un certo tipo di cinema, soprattutto europeo, è il modo in cui si cerca di tradurre la vastità e la complessità degli Stati uniti attraverso una sorta di vernacolo grottesco, a rassicurare la nostra visione degli americani».
Infine, una delle parole chiave, quella che attraversa Bones and All e non solo: «Il desiderio è qualcosa che mi attrae molto, ma penso che tutti i film parlino di qualcosa che ha a che fare col desiderio. Il cinema è desiderio».