Ho insegnato per un anno in India, perlopiù a Bangalore, una città che è considerata una delle capitali informatiche del pianeta. Nei tanti momenti di informalità, dentro e fuori la classe, mi ha stupito la fissazione per il matrimonio dei miei studenti, che aveva una valenza emotiva ed esistenziale fortissima che non riuscivo a cogliere in tutta la sua complessità. Indubbiamente molti matrimoni in India sono tutt’altro che imposti e la scelta del coniuge viene oggi negoziata tra i ragazzi e i loro genitori. Ma non è sempre così.

Una delle ragioni per cui i miei studenti volevano lavorare in Europa era per sposarsi senza troppi condizionamenti familiari. Qualcuno desiderava solo fare un po’ di soldi per potersi “permettere” una moglie, forse proprio quella scelta dai genitori, ma altri volevano scappare dalle proprie famiglie per sposare la persona che amavano o per sfuggire a un matrimonio imposto. L’emigrazione è anche un modo per sottrarsi alla tradizione, al patriarcato, ai vincoli paternalisti.

Ma non tutti avevano il coraggio e la determinazione dei miei studenti. Molti si rassegnano ai matrimoni combinati, magari nella chiave moderna e cool dei siti matrimoniali. Ne ho visitato qualcuno e mi sono posto subito alcune domande.

Per cominciare, l’istituzione del matrimonio combinato che tipo di trasformazioni subisce dall’impatto delle nuove tecnologie di comunicazione?

Internet produce emancipazione o conferma una prassi che riduce l’autonomia dei giovani indiani? Per avere una risposta, basta visitare alcuni dei più famosi “indian matrimonial sites”. Si tratta di siti che permettono di trovare l’anima gemella, andando oltre il circuito delle amicizie della propria madre o dei figli dei colleghi di lavoro del padre.

La scheda di registrazione è pesantemente “identitaria” e comunitarista. Bisogna esplicitare obbligatoriamente la comunità di appartenenza, la religione professata e la casta (quest’ultima è una realtà al tempo stesso illegale e onnipresente, in India). Le voci per le caste sono molto dettagliate e in alcuni casi è attiva anche l’opzione “scheduled castes”, anche se non credo che i dalit passino il loro tempo su internet per scegliere il proprio coniuge.

In alcuni siti, come in HappyMarriage.com, c’è anche un motore di ricerca interno che scansiona il database degli utenti proprio in funzione dell’appartenenza di casta. Oltre all’affiliazione identitaria (comunità, religione, casta e alimentazione, tutti fattori correlati) quel che conta davvero, nell’India moderna, è “l’equivalente generale”: le rupie che si guadagnano in un anno di lavoro sono la cosa più importante e anche quel campo, contrassegnato da un asterisco, è – inutile dirlo – obbligatorio.

Un altro sito matrimoniale importante è shaadi.com, che vanta dal 1996 venti milioni di vite unite in matrimonio. Matrimoni felici? Si sa, l’amore arriva con la vecchiaia ma si paga subito. Notevoli le storie matrimoniali delle coppie che fanno da testimonial. Foto di lui, Vineet, technical manager che lavora a Singapore, solvibile, e della nuova fiancée. Lui ha visitato il suo profilo e le ha spedito una mail. Ovviamente non ha risposto Milly (questo è il suo nickname) ma il padre, arcigno tutore della reputazione della figlia. Il padre di Milly spedisce qualche foto, Vineet le fa vedere al fratello e al resto della famiglia.

Loro sono d’accordo. A questo punto Vineet ricambia le fotografie con qualche jpg personale. Dopo giorni di silenzio i due piccioncini iniziano a chattare con Gtalk. Consumati i pulsanti della tastiera, è ora di passare a Whatsapp. A quel punto il passo successivo è il tradizionale incontro tra le due famiglie. Dura qualche giorno, tra pranzi abbondanti e garanzie patrimoniali. C’è feeling e liquidità, così si permette ai due ragazzi di uscire assieme, ovviamente circondati da una coorte di fratelli e cugini che vigileranno sulle distanze e i contatti. I due fidanzatini non trovano di meglio che andare a coronare questa prima uscita in un Pizza Hut.

Di storie come queste ce ne sono a migliaia. Altro che amore a prima vista. Anche tra Reynu e Ajay, come in tanti omologhi indiani (perlopiù sikh e hindu, mi sembra di capire) è stato “love at first byte”.

Emblematica è la storia di Indresh e Latasha, un capolavoro del turbo-capitalismo indiano prima della frenata del Sensex. Siamo nel 2009, lei lavora come hostess in una compagnia aerea, lui è un systems analist in Sudafrica. Entrambi a fine giornata sono troppo stanchi per corteggiare un coetaneo, perché lavorano come dannati.

Non si conoscono, ma entrambi si iscrivono in un “matrimonial site”. Reynu è colpito dal profilo di Ajay: c’è affinità sulla casta, sui soldi guadagnati su base annuale. Anche l’astrologo dà la bandiera verde. Ma nessuno fa il primo passo, anche perché non hanno ancora acquistato una sottoscrizione a pagamento. Poi sdrusciano la carta di credito e possono finalmente comunicare e incontrarsi.

Bharatmatrimony.com ha una homepage con una bella coppia in stile bollywoodiano, con la pelle lucente di crema whitening e in mano una tazzina di caffè espresso all’italiana. Ci sono due modalità di registrazione: quella gratuita permette solo di vedere i profili dell’eventuale fidanzata o fidanzato, l’altra – a pagamento – consente anche di comunicare tra gli utenti in cerca di un’anima gemella. Bharatmatrimony ha anche una rete di agenzie sul territorio che ti aiutano sul posto a trovare l’amore della tua vita.

Mi incuriosisce la questione delle caste e ho un dubbio riguardo ai cristiani. Provo a registrarmi. Nella scheda Religion scrivo “christian-catholic”, nella scheda Mothertongue inserisco “malayalam”, la lingua dello stato del Kerala e vado subito a vedere alla voce Caste che cosa appare. Se avessi scelto “hindu” e poi “tamil” so che avrei avuto centinaia di alternative diverse. Qui sono in minoranza, eppure anche tra i cristiani, che formalmente non hanno caste, le opzioni sono tante. Sembra che le varie confessioni cristiane siano state interpretate attraverso il prisma dell’appartenenza di casta e oltre ai “born-again” e ai “siro-malabar” ci sono altre tradizioni di culto che vengono organizzate nel contesto, morfologicamente appartenente all’induismo, della casta, come i christian knanaya o i christian marthoma.

É la dimostrazione che in India il sistema delle caste si è mangiato anche il cristianesimo e che la tecnologia rinforza una condizione tradizionale. Insomma, anche chi diceva di lottare contro la casta ha costruito una sua casta (cose che capitano, senza volerne trarre deduzioni per la situazione politica italiana…).

In conclusione, i siti matrimoniali non hanno rivoluzionato le tendenze conservatrici delle relazioni prematrimoniali indiane. Il matrimonio è spesso una scelta eterodiretta. L’innovazione si adatta semplicemente alle esigenze di una classe media informatizzata, disposta a pagare e dispersa in una diaspora transoceanica. Un mondo globalizzato di medici e di ingegneri informatici, di Non Resident Indians (NRI) che non possono né vogliono seguire i tempi lunghi di un fidanzamento “local”. Una soluzione flessibile che permette di analizzare le possibilità di successo economico del coniuge e consente ai familiari di supervisionare l’intero processo. E infine, terzo vantaggio, una soluzione disincarnata che conserva la castità: su internet non si può fare l’amore.

Per fortuna non è tutto così. Chi innova davvero lo fa in carne e ossa. Come gli studenti dei racconti di Lavanya Sankaran, Il tappeto rosso. Storie di Bangalore ̶ anche se è ancora fiction ̶ che si amano come i loro omologhi di tutto il mondo; come la giornalista indiana Annie Zaidi, che rivendica il diritto di “baciarsi fino alla normalità”. Come quei miei studenti che si preparavano a emigrare in Italia per lavorare e amarsi contro la volontà delle loro famiglie. Nonostante il flusso digitale dei byte, la migliore innovazione per l’umanità rimane ancora la fuga, l’esodo, il nomadismo, l’emigrazione dei corpi in carne e ossa e desideri.