Che cosa sarà mai questa musica per quanto attiene al suo «programma»? Celebrazione dell’ottobre rosso ’17 che nessuno ce lo tocchi per favore? Parliamo di Marx Lenin Mao Tse-Tung. Opera scritta da Giorgio Battistelli per il portentoso trio di percussionisti Ars Ludi, presentata in prima assoluta alla Tenuta dello Scompiglio. «Un omaggio all’ottobre ’17 c’è» dice l’autore «e c’è un gioco sonoro sui tre nomi dei grandi rivoluzionari. Un gioco anche ironico, non satirico».

È una mezza bugia. Non si sente traccia di omaggio, magari affettuoso, a quell’evento. Il gioco sonoro sui nomi si sente, eccome. Infantile e goliardico nella prima parte del breve lavoro, con vari miagolii sul nome Mao emessi dai tre performer (Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi, Gianluca Ruggeri), anche vocalisti. Nella seconda parte questo gioco vocale, che è in contrappunto con belle elementari figure percussionistiche, tra il minimal e il jazzistico (rullii alla Max Roach…), diventa tipo teatro della crudeltà, però sarcastico.

La parola Lenin è quella pronunciata meno secondo la partitura. I tre di Ars Ludi hanno pensato di introdurre un episodio ad hoc recitando il nome del leader sovietico con una certa concitazione seria. Si ascolta un bell’ostinato di rullii all’unisono. E nel finale con un colpo di teatro evocativo – previsto dall’autore – gli strumentisti muovono verso l’uscita come se fossero in una manifestazione anni ’70 e scandiscono lo slogan molto in voga all’epoca: «Marx, Lenin, Mao Tse-Tung». Ma la partitura dimentica di mettere un «viva» prima di ciascuno dei tre nomi. Così si gridava allora. Lavoro povero, dove un po’ di satira più qualunquista che dadaista o patafisica si intravede. Fascino musicale modesto. Il trentennale di Ars Ludi (altra ricorrenza in campo) poteva essere festeggiato meglio.

Ma la serata Battistelli ha modo di rinfrancarsi alla grande. Perché Aphrodite (1988), l’altro brano proposto, è una delle cose migliori di questo compositore, un tempo un «irregolare» formidabile. Secondo il programma di sala – e ricordiamo che l’appuntamento in questione è uno dei vari, di varie arti, previsti per il ciclo dedicato al tema del genere – gli umori maschili, deteriori, messi a nudo in Marx Lenin Mao Tse-Tung verrebbero contrastati dalla «sensualità delicata e tragica» femminile di Aphrodite. Può darsi. Di certo c’è il contrasto di valore compositivo tra i due lavori. Sensualità, varietà di stili, spregiudicatezza, maestria di ideazione e scrittura caratterizzano il «monodramma» Aphrodite ricavato dall’omonimo romanzo di Pierre Louÿs.

Le parti della vocalista (Laura Catrani) sono al centro dell’opera, attorniate dalle parti di vari flauti suonati da Gianni Trovalusci, da quelle dell’arpa (Patrizia Radici) e da quelle dei tre percussionisti di Ard Ludi, quasi sempre alle marimbe. Tutti ben diretti da Erasmo Gaudiomonte. Il ricordo dell’interpretazione di Gabriella Bartolomei in questo alternarsi di canto «dissennato», di recitato, di suoni di gola, di sospiri erotici, un esempio raro di vocalità magnificamente perversa, questo ricordo è difficile da scacciare. Ma Catrani si difende bene, con eleganza, precisione e immedesimazione.

Musica «impura» se mai ce n’è stata. Esotismi di arpeggi di marimbe e arpa. Una struggente «aria». Passaggi minimal di marimbe con rade intrusioni di un flauto «aspirato». L’arpa introduce una nuova «scena» con arpeggi da music-hall. Atmosfera magica e di incanto malato per quasi tutto il tempo, ma finale tribale con tamburi drammatici e flauto sibilante sulle parole «l’amore è forte come la morte».