Vi sono recenti provvedimenti e accordi di interesse del mondo lavorativo nell’ambito delle iniziative a contrasto della sindemia Covid-19. In ordine cronologico, il decreto legge 44, i protocolli tra le parti sociali del 6.04.2021 e la circolare del Ministero della Salute del 12.04.2021. Con gli accordi del 6 aprile sindacati e imprenditori hanno revisionato il protocollo anticovid precedente (14.03.2020 e 24.04.2020) e introdotto la possibilità di vaccinare i lavoratori presso le imprese. La revisione del protocollo anticovid presenta alcune modifiche: nella “condivisione degli ambienti di lavoro, al chiuso o all’aperto, è comunque obbligatorio l’uso” dei dispositivi di protezione (qualunque sia il distanziamento); sono precisati i rapporti tra imprese committenti e appaltatrici; la garanzia di spogliatoi; la possibilità di screening sotto il controllo del medico competente (e non su iniziativa unilaterale delle aziende): l’istituzione di un comitato territoriale anticovid ove mancanti quelli aziendali.

La circolare del Ministero del 12 aprile (che riporta le indicazioni INAIL dell’8 aprile) ha definito i requisiti e le procedure per le vaccinazioni nei luoghi di lavoro anche se tali modalità erano già richiamate e indicate come allegati al protocollo tra le parti sociali: quel protocollo è stato firmato in bianco dai sindacati anche se solo per due giorni. Si tratta di indicazioni che solo grandi imprese potranno soddisfare, infatti i “punti straordinari di vaccinazione” potranno essere istituiti nei singoli siti sia in punti “territoriali approntati dalle associazioni di categoria di riferimento” e riguardare anche lavoratori/lavoratrici di altre aziende diverse dalle utilizzatrici, le vaccinazioni avverranno indipendentemente dall’età (rispetto alle priorità del piano vaccinale). Come mai tanta beneficienza? Forse le imprese si aspettano una accelerazione nelle riaperture produttive e di consumo? In fondo una questione di PIL il cui unico ostacolo è rappresentato dalla disponibilità di vaccini e dalle difficoltà degli enti pubblici di organizzare efficacemente la campagna. Nel caso lombardo, che ha anticipato questa possibilità con un atto del 10.03.21, conosciamo già i costi: la clinica Santagostino offre “una tariffa di 15 euro a inoculazione per lotti superiori a 400 unità/gg e tariffe comunque sotto i 20 euro per lotti più piccoli”, oltre i 6 euro che la Regione riconosce per ogni vaccino inoculato (gratuitamente fornito dall’ente).

Un’altra lisciata alla privatizzazione di servizi sanitari che si mostrano ancora una volta “disumani”: le persone si misurano a “lotti”! La principale criticità di questi provvedimenti riguarda l’obbligo o meglio le conseguenze di un rifiuto a sottoporsi alla vaccinazione. Mentre nel protocollo tra le parti sociali si afferma (per i lavoratori “non” sanitari) che deve essere garantita privacy, volontarietà e l’assenza di ogni forma di discriminazione per chi non si vuole vaccinare in azienda, il contrario avviene per gli “operatori sanitari”, a fronte di un rifiuto scatterà la sospensione dalla mansione e la perdita della retribuzione (se il lavoratore non è destinabile ad altre mansioni anche inferiori). Stiamo parlando degli stessi operatori che hanno messo a rischio la propria vita, senza dispositivi e senza misure di protezione, nella prima fase, obbligati al lavoro. Critica è anche l’indeterminatezza della platea degli interessati (e le motivazioni sottese), che aggiunge perplessità. Abbiamo visto più volte nei provvedimenti emergenziali l’utilizzo di termini con valenza legale che lasciavano margini di interpretazione con effetti anche comici (si ricorda l’ampia discussione sui “congiunti”); nel caso del DL 44 si è ripetuta questa situazione.

Se gli operatori sanitari iscritti agli ordini professionali sono ben definiti (il provvedimento li coinvolge anche se non “esercitanti”) il termine di “operatori di interesse sanitario” lascia perplessi. Questo succede quando si vuole introdurre un obbligo di “sanità pubblica” in un ambito, quello lavorativo, che è regolato da norme sulla sicurezza sul lavoro basate sulla valutazione dei rischi specifica per attività e mansione. Per far questo si prende una scorciatoia. Per esempio il cuoco di una RSA che condivide solo l’edificio con i ricoverati è incluso mentre un parrucchiere, un’estetista, un trainer che hanno contatto fisico con le persone no. Non è chiaro neppure se i volontari del terzo settore saranno obbligati, non avendo per definizione un datore di lavoro. Il provvedimento nega esplicitamente che la vaccinazione abbia una valenza di sicurezza sul lavoro (il medico competente è in un angolo) e sia per sanità pubblica, poi individua a priori un gruppo di lavoratori e chiama il datore di lavoro “sanitario” a inviare la lista dei soggetti “sanitari” non iscritti agli ordini (con un rapporto di lavoro subordinato perché altrimenti sarebbe un abuso).

Appoggiamo la campagna Noprofitonpandemic affinchè i vaccini siano tolti dalle grinfie delle Big Pharma ma qualunque cosa si pensi della strategia vaccinale di massa, per noi è inaccettabile che dei lavoratori vengano discriminati (puniti) nel lavoro e nella retribuzione per una scelta personale (magari indecisi per le ultime vicende Astra Zeneca e non solo). La posizione dei sindacati firmatari dei protocolli che rivendicano la tutela dei lavoratori “obiettori” non risulta pervenuta su questo aspetto. Contiamo su un ripensamento al momento della conversione in legge del DL 1.04.2021 n. 44.

L’autore è Presidente Medicina Democratica – Tecnico della Prevenzione