Quando nel 2005 il giornalista americano David Grann decide di partire per l’Amazzonia alla ricerca di Percy Fawcett, è ben consapevole di essere solo l’ultimo di una lunga serie di avventurieri, scrittori, profittatori e quant’altri si sono messi sulle tracce di quell’uomo misteriosamente scomparso nel 1925. Come mostra nel suo libro «Z. La città perduta» appena pubblicato in Italia da Corbaccio (pp. 386, euro 18,60), il problema per lui non è solo quello di ripercorrere le tracce di quell’ultima spedizione ma di ricostruire la genesi di quell’ossessione che aveva spinto Fawcett a partire, ormai non più giovanissimo, in compagnia del figlio e di un altro ragazzo. Ovvero la convinzione di essere sul punto di trovare i resti di una evoluta civiltà pre-colombiana in grado di produrre elaborati manufatti in ceramica, di strutturarsi socialmente in centri abitati dotati di strade, case e così via. Un sogno o un incubo condiviso con molti altri esploratori nel corso della storia, chi rapito dal miraggio dell’El Dorado, la città d’oro, chi da una sorta di paradiso perduto da dove tutta la civiltà sarebbe poi discesa. Francisco de Orellana, Pizarro, l’americano Hamilton Rice (uno dei rivali più agguerriti di Fawcett), personaggi divenuti a loro volta protagonisti di ricostruzioni fantastiche di vicende circonfuse da contorni a volte incredibili.
Il merito di questo libro di Grann è proprio quello di intrecciare la figura di Fawcett con tutti gli altri personaggi che hanno cercato di trovare riscontri oggettivi a quelli che erano vagheggiamenti, deliri, svolazzi metafisici.
Il suo primo viaggio in Amazzonia, nel 1905, Fawcett lo compie in qualità di ufficiale di sua Maestà per dirimere la questione dei confine tra il Brasile e il Venezuela. A questo ne seguono molti altri, intervallati dal lungo stop della Grande guerra, a cui Fawcett partecipa con onore meritandosi anche un riconoscimento. Nel frattempo le sue inclinazioni, i suoi sentimenti verso quelle terre subiscono un’evoluzione, si trasforma da spia in esploratore senza reti di protezione degli angoli più remoti della giungle pluviale, sempre alla ricerca di tracce significative della mano civilizzatrice dell’uomo.
Grann si appassiona a tal punto alla sua vicenda da partire egli stesso per l’Amazzonia per scoprire, quando, come e dove, fosse finita l’avventura da Fawcett. Ma anche lui si trova di fronte a resoconti incompleti, testimoni mendaci o reticenti, in un contesto in cui perfino gli indios hanno iniziato da tempo ad elaborare storie su quell’inglese scomparso da tempo. Lasciando che la verità sulla fine di Percy Harrison Fawcett resti a disposizione della fantasia di chi ieri come oggi, voglia cercare di raccontarne il mistero senza pensare di esaurirlo. Come d’altronde dimostra il bel film di James Gray uscito da poco nelle sale italiane.