In piazza per fermare il disastro e recuperare il servizio sanitario nazionale. I medici si sono fermati, ieri, per una giornata di sciopero: 70% di adesioni per una protesta che non è solo sindacale, ma che tocca il cuore del nostro stato sociale, il diritto dei cittadini a curarsi. I camici bianchi avevano già fatto un grosso corteo a Roma nell’ottobre scorso, sotto il governo Monti – si raccolsero in ventimila – ma con l’arrivo di Enrico Letta e delle «larghe intese» ben poco è cambiato.

«Il nodo sta innanzitutto nelle risorse e nei tagli – spiega Massimo Cozza, della Funzione pubblica Cgil – e da questo problema ne discendono tanti altri, come quello del precariato. Per questo motivo siamo andati a manifestare non davanti al ministero della Salute, ma a quello dell’Economia».

La Cgil denuncia che per la prima volta, quest’anno, a causa dei tagli lineari imposti dall’ultima finanziaria, si è registrato un calo di 1 miliardo di euro sulle risorse stanziate rispetto all’anno precedente. Fino al 2012, i tagli c’erano, eccome, ma erano sempre rispetto ai fondi necessari programmati, anche in base all’aumento del costo dei servizi: adesso si è registrata una vera e propria riduzione, netta, in termini assoluti. «Già nel 2011, comunque, siamo scesi sotto la media Ocse sia per spesa procapite che per posti letto – continua il sindacalista della Fp Cgil – Quindi si può immaginare a che punto siamo oggi. E alla chiusura di ospedali e al taglio di posti letto non si è risposto con nessun servizio alternativo: è rimasto ad esempio tra le favole il “medico di famiglia 24 ore su 24”, promesso da Monti e dall’allora ministro Balduzzi».

Un altro nodo è il blocco del turn over, che impedisce di assumere i precari: anche chi da anni somma un contratto a termine all’altro, spesso senza pause, e che quindi stabilizzato costerebbe praticamente la stessa cifra. «Il ministero parla di 7000-7500 medici precari, ma per noi sono almeno 10 mila – continua Cozza, della Cgil – Ci sono ormai tantissimi “invisibili”, che non vengono neanche conteggiati: leggevo ad esempio che in Friuli per luglio e agosto una Asl ha lanciato una gara d’appalto per ditte e cooperative per coprire l’intero pronto soccorso, medici compresi. Ormai siamo oltre i cococò e le partite Iva, che pure continuano a essere largamente presenti».

Nelle regioni che devono applicare un piano di rientro dei debiti, si può assumere solo 1 medico (o un infermiere) ogni 10 pensionati; nelle altre i cordoni sono un po’ più liberi. Ma il fatto che il personale sia carente, non permette di rispettare i riposi: la Ue ha già dato all’Italia un termine di due mesi per adattare normativa e contratto del personale sanitario sul tema dei turni e degli orari di lavoro. L’assurdo è che nel nostro Paese non si applica la regola Ue delle 11 ore minime di riposo tra un turno e l’altro e delle 48 ore massime di lavoro a settimana.

I sindacati la settimana scorsa hanno incontrato la nuova ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, che sul precariato ha fatto riferimento ai provvedimenti del governo sul complesso della pubblica amministrazione: il problema è che su questo fronte non ci si aspetta altro che l’ennesima proroga.

Ci sono poi almeno altri tre problemi denunciati dai medici. Il primo, che riguarda però anch’esso tutto il pubblico impiego, concerne il blocco degli aumenti di stipendio, «congelati» ormai da inizio 2010. Come se non bastasse, la legge Brunetta ha bloccato di fatto anche la contrattazione integrativa, il che peraltro impedisce innovazioni sul fronte dell’efficientamento e miglioramento dei servizi.

C’è poi il tema della formazione: ogni anno si laureano 9 mila medici, ma nelle scuole di specializzazione (medici di famiglia inclusi) possono accedere solo 4500 ragazzi. Il resto così resta disoccupato o deve andare all’estero: negli ultimi 4 anni circa 5 mila laureati in medicina hanno chiesto di andare in paesi come Germania e Gran Bretagna. Cervelli in fuga.

Infine il nodo delle denunce e delle assicurazioni. È certo un bene che siano aumentati gli strumenti in mano ai pazienti per difendersi rispetto a casi di malasanità o rispetto agli errori dei medici, ma questi ultimi chiedono una legge a tutela del proprio lavoro, anche per operare più serenamente. «Come negli altri paesi – dicono alla Cgil – si potrebbe imporre un’assicurazione obbligatoria per le strutture pubbliche e private, e fondi di garanzia cui possano attingere sia medici che pazienti».