Musica e sordità. Apparentemente due termini inconciliabili. Invece esiste un sorprendente universo musicale, per nulla silenzioso, dei sordi. La storia della musica è piena di esempi di come il rapporto degli ipoudenti col mondo delle sette note sia fruttuoso e appagante. A partire dal caso più famoso, Ludwig Van Beethoven. In 45 anni di carriera il grande musicista tedesco ha composto circa 750 opere. Pure le persone poco interessate alla musica classica avranno di sicuro ascoltato almeno una tra le meravigliose sinfonie oppure una delle numerose sonate per pianoforte che portano la sua firma. Beethoven, che proveniva da una famiglia di musicisti, aveva iniziato la sua carriera come pianista e si era all’inizio prefissato di diventare direttore d’orchestra piuttosto che compositore. Poi un problema di salute spinse la sua vita in un’altra direzione. La causa della sordità di Beethoven è rimasta sconosciuta. Le ipotesi di una labirintite cronica, di una otospongiosi o della malattia ossea di Paget sono state ampiamente discusse ma nessuna è mai stata confermata. All’inizio le sue difficoltà uditive erano apparentemente innocue: i primi sintomi apparvero all’orecchio sinistro, ma ben presto anche l’orecchio destro ne fu colpito. A lungo non ebbe problemi a suonare il pianoforte, anche se trovò sempre più difficile condurre le conversazioni, poiché non gli era facile seguire ciò che gli altri dicevano. Sperimentò varie trombe auricolari fatte in casa, ma si rivelarono inefficaci. Man mano che la sordità si accentuava, Beethoven chiedeva al suo produttore di pianoforti di costruire strumenti più rumorosi. Anche il ruolo di direttore d’orchestra divenne sempre più impegnativo perché non riusciva a sentire il suono prodotto dall’orchestra. Durante le prove della sua unica opera, il Fidelio, creò un tale caos che dovette essere allontanato. Mentre il suo udito continuava a deteriorarsi, si accorse che poteva comunicare solo se gli interlocutori gli urlavano direttamente nell’orecchio. Quando anche questo modo non funzionò più, prese a comunicare per iscritto, in quelli che chiamava «libri di conversazione», che oggi sono diventati una fonte storica unica.

OLTRE BEETHOVEN
Ai giorni nostri, per colpa di carriere passate sui palchi, con gli amplificatori a tutto volume, è cresciuto a dismisura il numero degli artisti che in età avanzata come Beethoven hanno perso l’udito. Tanto per comprendere meglio i valori di riferimento, va detto che già le pressioni sonore superiori agli 85 dB, in seguito a esposizioni prolungate, sono dannose per l’udito; quelle superiori a 110 dB possono provocare danni gravi dopo pochi minuti di esposizione; mentre le pressioni sonore pari o superiori ai 120 dB possono causare un danno uditivo immediato. Ma 85 decibel è un livello ben lontano da quello urlatissimo dei grandi eventi rock. La maggior parte dei concerti oggi giorno infatti supera i 100 dB. Sin dagli anni Settanta, alcune band hanno registrato record assordanti, sempre intorno ai 115 decibel. Pete Townshend e Roger Daltrey degli Who soffrono tutti e due di una diminuzione dell’udito. Ebbene, per tre decenni il loro gruppo ha detenuto il record del concerto più rumoroso. Nel 1976 a Londra la band entrò nel Guinness dei primati con 126 decibel registrati a 32 metri dagli speaker. Solo nel 2009 i Kiss sono andati ben oltre con 136 dB. Stiamo davvero parlando di livelli che, secondo gli esperti, non possono che causare danni, sia ai musicisti che agli spettatori.
E attenzione a criminalizzare la musica rock. Anche il livello sonoro di un’orchestra sinfonica a pieno regime è intorno ai 100 decibel, ben superiore al rumore prodotto dal passaggio di una metropolitana (circa 90 dB) e pari a quello di un martello pneumatico a una distanza di tre metri, spiegano gli esperti audiologi. E così molti musicisti, indipendentemente dal genere suonato – non solo rock, ma anche pop, jazz e classica – sono esposti al rischio di perdite uditive in occasione dei concerti, durante le prove di gruppo e negli studi di registrazione, dove fanno uso di cuffie e altoparlanti per lungo tempo.

ACUFENE
Uno dei primi a rivelare i suoi problemi uditivi è stato Eric Clapton. Il chitarrista di Cream e Yardbirds, punta di diamante del rock blues anglosassone, ha dichiarato di soffrire di tinnitus (più noto come acufene), un costante tintinnio nelle orecchie, come una nota musicale suonata più e più volte, disturbo molto comune proprio per chi ha passato la vita su un palco, tra casse e amplificatori sparati al massimo. Prima di Slowhand era toccato a Sting confessare di avere problemi alle orecchie. «Molte persone che fanno la mia professione sono un po’ sorde», ha detto l’ex leader dei Police. Il coming out è toccato anche a Phil Collins: il musicista inglese ha raccontato di aver perso per un’infezione virale «il 70% dell’udito all’orecchio sinistro». Un’ altra leggenda, George Martin, il produttore degli album dei Beatles, aveva totalmente perso l’udito quando si ritirò nel 1998, e dovette imparare a leggere le labbra per poter conversare. Il problema colpisce perfino una diva come Barbra Streisand che ha ammesso di soffrire sin da quando era giovane di tinnitus. Il più esplicito è stato Pete Townshend. Il chitarrista ha lanciato un appello -confessione ai milioni di ragazzi che ogni giorno indossano cuffie e auricolari per ascoltare musica: «Abbassate il volume o rischiate di diventare sordi come me. Senza volerlo ho contribuito a inventare e definire un tipo di musica che può danneggiare l’udito». E la lista è davvero lunga. Combattono con sibili, ronzii nelle orecchie e difficoltà uditive Neil Young, Ozzy Osbourne, Moby, Chris Martin dei Coldplay, Lars Ulrich dei Metallica e, qui da noi, Gino Paoli e Caparezza.

«MEDAGLIA DI MERITO»
Anthony Kiedis dei Red Hot Chili Peppers descrive il suo acufene nella sua biografia Scar Tissue. Il cantante ha iniziato a soffrire di disturbi uditivi una notte dopo un concerto nel 1993: «Quel giorno è stato l’inizio della mia battaglia con l’acufene. Io e Chad Smith (batterista dei RHCP, ndr) dopo lo show ci siamo resi conto che le nostre orecchie fischiavano come un clacson. Alla fine di quel tour ho avuto danni permanenti all’udito che purtroppo sono molto difficili da curare». C’è anche chi la prende sottogamba, quasi fosse una medaglia di merito. Noel Gallagher (chi altrimenti?) ha recentemente dichiarato di aver sviluppato acufene a causa della sua esposizione alla musica ad alto volume con gli Oasis e con la sua band attuale, ma, a differenza di molti, non pensa al disturbo come a un’afflizione: «Senza dubbio ho l’acufene. Non sei una vera e propria rockstar senza. Ho imparato a convivere con questo fischio molto tempo fa. Ho imparato a parlare ad alta voce su di esso. Ne sono fiero». Contento lui. La maggioranza dei musicisti la vede diversamente, perché le ricadute possono essere davvero pesanti. Anche in termini economici. Nel 2016 gli AC/DC annullarono un tour mondiale a causa del grave stato in cui versavano l’apparato uditivo del cantante Brian Johnson: «Da tempo avevo un sibilo costante nelle orecchie. Dopo una serie di accertamenti effettuati dai maggiori esperti nel campo della perdita d’udito, mi è stato detto che se avessi continuato ad esibirmi in concerti di grandi dimensioni, avrei rischiato la sordità totale». Negli Stati Uniti è nata anche un’organizzazione no profit denominata H.E.A.R. (sigla che sta per Hearing Education and Awareness for Rockers e gioca sul significato inglese dell’acronimo, in italiano «ascolta») che mira a una maggior consapevolezza sui rischi per l’udito di chi fa musica a tutto volume. In un’indagine commissionata dall’associazione è risultato che circa il 60 percento degli artisti inclusi nella Rock and Roll Hall of Fame sono ipoudenti.