«Non siamo sul piano del merito! Non siamo sul piano del merito, Philip». Da Pasquale Russo, decano dei tributaristi fiorentini e prof universitario per generazioni di studenti, una nauseante fotografia dello stato delle cose nel mondo accademico – e tributario – italiano. Succede però che il giovane studioso di diritto tributario Philip (Jezzi Philip Laroma), che nonostante i concreti titoli di merito si vede scavalcato da colleghi meno preparati di lui nelle pieghe della semplice abilitazione all’insegnamento nel settore – dunque ancor prima del vero concorso per prof universitario – decida di registrare alcune conversazioni, affidandole poi alla magistratura. E succede che due pm di valore come Luca Turco e Paolo Barlucchi decidano di andare a fondo, affidando ai finanzieri coordinati dal colonnello Adriano D’Elia il compito di ricostruire, come annota il gip Angelo Antonio Pezzuti, «sistematici accordi corruttivi tra numerosi professori di diritto tributario, finalizzati a rilasciare le abilitazioni all’insegnamento secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori, con valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate a soddisfare interessi personali, professionali o associativi». In una parola: corruzione.

Fra i sette tributaristi finiti agli arresti domiciliari e gli altri 22 interdetti per un anno all’attività accademica, su 59 indagati complessivi, c’è la crema del settore. Compreso l’ex ministro Augusto Fantozzi, anche ex rettore oggi in pensione, che in una conversazione intercettata dalla Fiamme gialle, durante una cena in un ristorante romano nel 2014, si dice convinto della necessità di creare «un gruppo di persone più o meno stabili a cui far gestire i futuri concorsi». Battezzandolo, fra le risate generali, «la nuova cupola». I sette prof agli arresti domiciliari sono Guglielmo Fransoni, tributarista dello studio Russo e prof a Foggia; Fabrizio Amatucci, prof a Napoli; Giuseppe Zizzo dell’università di Castellanza; Alessandro Giovannini dell’università di Siena; Giuseppe Maria Cipolla dell’università di Cassino, Adriano Di Pietro dell’università di Bologna, Valerio Ficari, ordinario a Sassari e supplente a Tor Vergata. Fra i 22 interdetti anche Roberto Cordeiro Guerra, ordinario a Firenze.

DAGLI ATTI DELL’INDAGINE e dalle numerose intercettazioni, Fransoni (vicino all’epoca a Stefano Ricucci) e Di Pietro, direttore della Scuola europea di alti studi tributari (Seast) dell’Alma Mater, spiccano per attivismo. Il primo, indagato assieme a Russo anche per «induzione indebita a dare o promettere utilità», faceva parte della commissione che decise le abilitazioni nella tornata del 2012, a cui partecipò senza successo anche il ricercatore Philip, a cui proprio Russo aveva chiesto di ritirarsi promettendogli un aiuto l’anno dopo. Russo disse al ricercatore, che registrò parte della conversazione, che in lista c’era un associato del suo studio come Fransoni. Lo stesso Fransoni annunciò in seguito al ricercatore che anche per il 2013 c’era già una lista «chiusa», di cui lui non faceva parte.

FRA LETTERE ANONIME per indebolire i commissari di altre cordate che spingevano a loro volta i propri candidati, e «chiamate alle armi» (così è stata chiamata l’inchiesta) rivolte da questo o quel tributarista ai commissari «amici», emerge uno scenario disarmante. Nelle indagini, annotano i finanzieri, finiscono prof tributaristi anche pubblici ufficiali, come componenti di commissioni nazionali nominate dal Miur. Del resto, in un colloquio registrato dal ricercatore ostracizzato, Pasquale Russo la vede così: «La logica universitaria è questa, è un mondo di merda». La senatrice Alessia Petraglia di Si ha subito chiesto alla ministra Fedeli cosa intenda fare. Quest’ultima (non) risponde così: «Le notizie terribili di oggi dimostrano che il terreno della corruzione e dell’illegalità è nazionale».