Nel segno dell’approccio interdisciplinare, ormai una consuetudine per le annuali Giornate internazionali di studio sul paesaggio, il 22 e il 23 a Treviso, presso la Fondazione Benetton studi e ricerche, convergono alla ribalta della ventesima edizione, in questa occasione intitolate a Soundscapes. L’esperienza del silenzio e del suono nel paesaggio, specialisti del campo, progettisti e ricercatori dalle competenze più diverse – ecologia, geografia, biologia, architettura del paesaggio, urbanistica. Ma anche artisti del suono e compositori.

Tra i protagonisti a confronto, c’è anche Nadine Schütz, artista del suono di origine svizzera ed esperta di acustica del paesaggio, con base a Parigi, autrice di molte opere integrate in progetti architettonici, paesaggistici, urbani, nonché di ambienti acustici, installazioni temporanee, performances, scenografie e inneschi sonori progettati per musei, mostre e giardini. Modalità diverse attraverso cui esplora la dimensione sonora del nostro esser parte del paesaggio, distillandone strumenti di analisi e di intervento per confrontarsi con urgenti criticità ambientali.

Come lei sostiene, siamo perlopiù adusi a una lettura privilegiata, quando non a senso unico, di paesaggi e giardini attraverso lo sguardo. E sottostimiamo quanto la dimensione acustica ci ponga invece in una interrelazione totalizzante, immersiva, con gli ambienti che abitiamo assieme con le altre voci del vivente. Cosa ci dice, in più, nella sua esperienza di progettazione del paesaggio e di intervento artistico, l’attenzione al sonoro che lei sollecita e che è al centro delle riflessioni delle giornate del paesaggio?

La dimensione sonora dei paesaggi si rivela innanzitutto a livello dell’ascolto. Un ascolto che va oltre la semplice capacità fisiologica umana di ricevere e classificare le onde sonore. L’ascolto implica un atto empatico, un’attenzione verso gli altri, siano essi i nostri vicini o esseri viventi non umani o, ancora, quelle dinamiche naturali geologiche e atmosferiche che tendono a sfuggire al nostro senso del vivente. La particolarità della percezione sonora è in questo senso il suo carattere presenziale.

Il paesaggio risuona qui e ora, in uno spazio-tempo condiviso e concreto. E per quanto noi sentiamo il canto di un merlo o il gorgoglio di un piccolo ruscello, sentiamo anche un suono tonale, melodico e articolato che scompare, appare e si muove con il passare delle ore, oppure un suono più rumoroso e continuo, la cui presenza varia su orizzonti temporali molto più estesi, quello delle stagioni meteorologiche e degli anni climatici.

È a questa consapevolezza di condivisione spaziale e temporale obbligata che mi appello, ma anche a un’altra nozione di tempo, più complessa, quasi rinaturalizzata, che dà voce a cicli celesti e terrestri, meteorologici e organici. Allo stesso modo, l’ascolto del paesaggio ci porta a una nozione molto eterogenea di spazio, o meglio di spazialità. Il risultato non è soltanto una maggiore consapevolezza della diversità percettiva, ma anche un’intelligenza sensibile (naturale) che potrebbe aiutarci a condividere uno spazio limitato. Penso che si tratti di aspetti strettamente legati al quotidiano, ma anche in grado di offrirci scoperte poetiche all’interno dei nostri luoghi abituali. I luoghi dedicati all’arte possono offrire un campo di sperimentazione allargato, ma l’arte può anche essere un modo per ancorare queste sensibilità nell’ambiente quotidiano.

Nei suoi progetti lei utilizza spesso tracce acustiche, che sono esito dei luoghi ed espressione dei contesti dove si producono e vengono raccolti, come il vento, il sole o la pioggia (ma anche il passaggio di un treno), per restituirli in partitura così che divengano una forma musicale. Qual è la relazione tra la loro reale vita autonoma (i paesaggi che «involontariamente» ci additano) e la percezione che nei suoi progetti si innesca, magari con l’effetto di identificare, o creare ambienti inediti?

Nella mia tesi di dottorato Cultivating Sound – The Acoustic Dimension of Landscape Architecture (Coltivare il suono – La dimensione acustica dell’architettura del paesaggio), presentata al Politecnico di Zurigo nel 2017, ho esplorato l’idea che l’acustica sia una dimensione inerente elementi fisici del paesaggio che siamo abituati a modellare (topografia, vegetali, acque, ambienti). Accostando l’esplorazione acustica di questi elementi alle mie osservazioni sulla percezione del suono ambientale, ho potuto evidenziare il legame diretto tra sonorità e materialità. Mi sono anche resa conto di quanto la questione della generazione o della produzione del suono venga trascurata nei comuni approcci acustici architettonici e ambientali messi in atto nell’ambito della valorizzazione delle nostre città e dei nostri paesaggi.

Da qui è nato un approccio ambientale che potremmo definire «strumentale», presente in diversi miei progetti recenti. In questo senso, le mie creazioni non riguardano tanto la partitura quanto il dispositivo musicale o sonoro. Come possiamo rivelare, trasmettere, tradurre o trasporre le molteplici voci del paesaggio senza al tempo stesso strumentalizzarle, ma piuttosto creando un dispositivo, un’interfaccia che permetta loro di farsi sentire, diventando esse stesse musiciste? Voglio creare esperienze in cui queste voci e sonorità del paesaggio diventino agenti.

Allo stesso modo, invito il pubblico, le ascoltatrici, gli utilizzatori a diventare essi stessi coltivatori e coltivatrici del loro paesaggio sonoro, e non più semplicemente a subirlo, ma a entrare in dialogo attraverso un ascolto attivo, a remixarlo attraverso i loro corpi e movimenti, e a diventare parte di esso attraverso dispositivi sonori interattivi.

Il suo lavoro mira a rendere evidente il ruolo del suono in quanto dimensione intrinseca del paesaggio, inteso come esperienza sensoriale immersiva e interattiva. Vuole rivelare le molte articolazioni sonore spesso circoscritte, in modo binario, a rumore o alla sua assenza, in una indicazione riduttiva di silenzio. Può farci qualche esempio di come risuona questo vocabolario?

Prendiamo la nozione di spazialità sonora, che preferisco a quella di spazio. È ben lontana dall’essere un semplice contenitore. È una qualità percettiva a sé e un’impressione relazionale complessa. Riunisce i diversi domini dello spazio uditivo: sonotopico (sentire un suono vicino o lontano, dalla nostra sinistra o dalla nostra destra), spettro-temporale (percepire una distanza tra due suoni a causa della loro diversa composizione di frequenza e dinamica) e intersensoriale (sentire un effetto di raffreddamento quando si sente il fruscio delle erbe nel vento).

In pratica, tenere conto di questa eterogeneità spaziale caratteristica del paesaggio sonoro ci permette di concepire lo spazio stesso in modo più efficace. Considerando la differenza qualitativa come alternativa alla distanza metrica, ad esempio, aumentiamo lo spazio per una potenziale coesistenza, anche in ambienti urbani densi. La separazione spaziale ad opera di strutture fisiche lascerebbe così il posto a una differenziazione sonora, un approccio che probabilmente corrisponde meglio alla natura relazionale dello spazio pubblico e che chiamerei orchestrazione.

Un secondo esempio di vocabolario che gioca un ruolo centrale nelle mie ricerche è la nozione di vivacità. Le sottili interazioni di suoni che appaiono qua e là, vicino e lontano, trasmettono una doppia voce al nostro ambiente: una composizione dinamica di esistenze sonore multiple e singolari, che animano e rivelano collettivamente una distesa fisica con caratteristiche acustiche particolari e interconnesse. Se il paesaggio è sonoro, la natura è correlata a una presenza vivente, che potrebbe condurci a una comprensione più sfumata del silenzio dei nostri desideri come coscienza uditiva e relazionale, la consapevolezza e il coinvolgimento nella vita che ci circonda.

Nuove ecologie. Esplorazioni uditive tra pratiche del giardinaggio e creazioni musicali

Assieme alla considerazione sempre maggiore riservata a una dimensione corporale del paesaggio che, oltre il «visuale», si dilatati in percezione e commistione polisensoriale, e dopo la lunga incubazione dei soundscape studies e relative analisi critiche, s’impone una complessiva riflessione sulla dimensione sonora dei paesaggi.

Merito del tema messo a sistema dalle Giornate internazionali di studio sul paesaggio che si terranno a Treviso il 22 e 23 presso la Fondazione Benetton, orchestrate da Luigi Latini, docente di Architettura del paesaggio allo Iuav di Venezia, e di Simonetta Zanon, rispettivamente presidente e responsabile ricerche e progetti della Fondazione. Sotto l’ombrello di un titolo ricco di echi e implicazioni, Soundscapes.

L’esperienza del silenzio e del suono nel paesaggio, si annunciano interventi (anche da seguire online) sul dibattito relativo alle estensioni del concetto di paesaggio nelle diverse variabili del sonoro, dai silenzi geografici a suoni e rumori della foresta, dalle isole di quiete restituite alle città al variare di gradiente di un margine rurale da attraversare in ascolto. Alla luce di un interesse nuovo nei confronti della dimensione uditiva, l’attenzione è sui molteplici protagonismi nell’uso di codici sonori nell’esplorare e connettersi con l’ambiente, sulle valenze del silenzio tra suono e parola, sulla difesa degli ecosistemi dall’inquinamento acustico e il ruolo dell’ecoacustica nell’ecologia della conservazione del paesaggio sonoro.

Nell’incrocio di temi e prospettive – dall’ecologia del paesaggio alla letteratura, dall’architettura, al cinema, all’arte dei giardini – si affaccia il fondamentale contributo creativo e di riflessione teorica portato da esempi diversi di installazioni, performance e progetti acustici.

Dagli interventi di arte sonora site-specific nel Parco di Scania all’indagine dell’intersezione tra pratiche del giardinaggio e della creazione musicale, ai giardini sonori di Nadine Schütz.