Già la Grecia di Syriza aveva stupito togliendosi la cravatta negli incontri istituzionali con il Fmi o con i soloni dell’Ue, ma la Spagna, dopo le elezioni di domenica scorsa, ha spiazzato con il trionfo dello stile rustico di Pablo Iglesias. Camicia a scacchi e codino contro le inamidate camicie bianche di Pedro Sanchez del Psoe, troppo simili a quelle dell’italico Matteo Renzi.

L’esito delle elezioni spagnole era atteso da chi si ribella all’Europa liberista. Questa volta le aspettative non sono state deluse: il voto, anche se solo amministrativo, dà, dopo quello greco, un secondo colpo alle disastrose politiche che governano il vecchio continente. Ora si tratta di consolidare e possibilmente migliorare quanto raggiunto, in vista delle elezioni politiche di novembre. Da domenica però la Grecia sarà meno sola a mettere in discussione le politiche antisociali della Troika. Ecco che comincia a prendere forma la Spagna sognata quattro anni fa nelle strade e nelle piazze di Madrid, da migliaia di giovani e meno giovani che si indignarono per le ingiustizie e la privazione di futuro a cui la gestione liberista della crisi li condannava. Una ribellione che travolse chi, come Zapatero, vi si sottomise, pur di continuare a governare. Quello che sembrava un miraggio inizia a trasformarsi in realtà, perché non solo quel movimento continua ad esserci e a lottare, ma soprattutto ha accettato di misurarsi con la politica, in questo caso con il governo delle città.

No nos rapresentan! Quel No non ci rappresentano! urlato tante volte inizierà a cedere il passo. Ne è convinta Beatriz Gimeno, militante lesbica e femminista, ex-presidenta della federazione spagnola Lgbt, che, eletta a Madrid, ricorda a tutti e tutte « da domani noi in parlamento siamo voi » o Paula Ezkerra, attivista di Prostitutas indignadas eletta per il comune di Barcellona, proprio nella città dove la lotta contro i diritti delle/dei sex-worker è stata più aggressiva. No nos rapresentan! gridato anche da Ada Colau attivista della piattaforma contro gli sfratti per le ipoteche. In questi giorni la foto della Colau che si oppone con il proprio corpo ad uno sgombero, portata via di peso dalle forze dell’ordine, ha fatto il giro delle reti sociali con la didascalia «vi presentiamo la nuova sindaca di Barcellona». Una idea differente di rappresentanza e una idea diversa di rottamazione, non quella anagrafica dei giovani contro i vecchi, ma quella dei contenuti che ha portato a candidare a sindaca di Madrid Manuela Carmena, di Ahora Madrid, ex giudice di 71 anni.

Non solo. Quel sogno si realizza perché nel corso di questi quattro anni, molti degli animatori del movimento 15M hanno generato un partito come Podemos, la cui ambizione non è ritagliarsi un piccolo spazio alla sinistra del Psoe o di Izquierda Unida, ma di conquistare la maggioranza degli spagnoli ad un progetto di trasformazione del proprio paese, come base per ridisegnare un domani l’Europa. Introdurre in questo voto le dinamiche del dibattito della sinistra alternativa italiana, sociale o politica che sia, è francamente poco utile. Sbaglia, infatti, chi pensa che la lista di Barcellona, o quella di Madrid o di Valencia o di Cadiz, siano espressioni solo della spontaneità dei movimenti.

Al contrario esse sono state rese possibili dalla contemporanea decisione degli attivisti che animavano lotte in quelle città, di portarle al governo della città, ma anche dalla decisione di Podemos di non presentarsi nelle elezioni comunali, proprio per appoggiare liste come Ahora Madrid, Barcelona en Comú, Zaragoza en Comun, Marea Atlántica, Compostela Aberta, Coalció Compromís. Podemos non ha perso le proprie radici facendosi partito, come molti temevano dopo le dimissioni dalla direzione di Monedero, ma al contrario ha capitalizzato la radicalità delle sue origini con la decisione di partecipare alle istituzioni.

Ora si apre la fase più difficile quella in cui mettere a frutto l’esito del voto e dare un governo a Madrid, a Barcellona e a tutte le città spagnole. Difficile perché obbligherà al confronto con il Psoe, una forza per nulla intenzionata a rompere con il passato e con le politiche liberiste. Non servono patti generali, per l’appunto improponibili, bisogna solo accordarsi. La scrittrice spagnola Almudena Grandes l’ha detto all’inizio della campagna elettorale: vivere è fare patti, arrivare a compromessi con se stessi e con gli altri, stabilire priorità, imparare a rinunciare a tutto per ottenere una parte sufficiente di quello che si vuole, per arrivare ad un patto. L’unione è stata determinante in queste elezioni spagnole, ha fatto la forza e la differenza.