Quello che si inaugura domani sarà Bergamo Film Meeting edizione 35, anche se questa sera al teatro Donizetti ci sarà un prologo lussuoso con la proiezione di Amadeus di Milos Forman, tre ore di director’s cut che celebra la manifestazione e annuncia la retrospettiva completa del regista ceco. Rassegna e film sono quasi contemporanei, il festival vide la luce nel 1983 e l’anno successivo Amadeus conobbe un clamoroso successo, culminato con 8 oscar tra cui film, regia, attore protagonista, sceneggiatura non originale, scenografia trucco, sonoro e costumi creati da Theodore Pistek che saranno in mostra in questi giorni presso il ridotto Gavazzeni del Donizetti.

Programma denso e fitto con moltissime sezioni, omaggi e incursioni in altre discipline, sempre tenendo saldo l’aggancio al cinema come momento imprescindibile. Abbiamo puntato l’attenzione su un paio di documentari a diverso titolo sorprendenti. Il primo si chiama Fame, ma non rievoca musical famosi o serie tv. Perché Giacomo Abbruzzese ha scovato Angelo Milano che è divenuto protagonista e coregista di questo lavoro che sembra voler celebrare l’onda lunga del 1977, quella però della creatività, degli indiani metropolitani, del situazionismo pur essendo una storia degli anni zero. Angelo Milano parte da Grottaglie, provincia di Trapani, città di ceramiche, per andare a studiare a Bologna.

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Senza voglia, ma si laurea. Quando torna in paese vuole inventarsi qualcosa. E lo fa con l’aiuto di mamma Gilda e papà Enzo, con il coinvolgimento di Ericailcane (anche lui coltivato negli studi in quel di Bologna). I due cominciano a fare street art, o graffiti o murales, chiamateli un po’ come vi pare. Opere a volte gigantesche che riempiono e rendono vive intere facciate di palazzi. Non che la cosa fosse così apprezzata… però il segnale era partito. Un convento abbandonato, poi altri spazi diventano scenari urbani da reinventare, mentre la polizia mostra talvolta di non gradire. Uno stacco repentino da una volante vera a un modellino permette di spiaccicarlo con una pietra. In paese la cultura non è data. Gli amministratori si fanno intortare per 15mila euro da un figlio farlocco di Dalì e celebrano la sagra della polpetta. Quando Angelo si lancia nell’idea di un festival facendo convergere su Grottaglie artisti di strada internazionali (nel corso degli anni arrivano Momo, Nug, Osgemeos, Sam3, Swoon) l’idea sembra peregrina, anche perché ha sdegnosamente rifiutato il contributo comunale, di mille euro.

Così babbo è autista, mamma cucina, un po’ di soldi vengono raggranellati con le serigrafie e i conti tornano. Tornano anche gli artisti anno dopo anno e arrivano i collezionisti, gli acquirenti, tutto magnifico, ma il sogno un po’ provocatorio ormai è disinnescato, qualsiasi proposta, anche sconcia, viene accolta con grande empatia. Nessuno più degli abitanti chiede che venga rappresentato qualche santo, chi aveva bloccato dei murales ora è felice di farli completare. Insomma non c’è più gusto, se non quello per i piatti di mamma Gilda, felice perché coi vari ospiti ha imparato l’inglese. Avvincente quando mostra in timelapse la costruzione di alcuni affreschi, con un’ottima colonna sonora, Fame non perde mai di vista l’aspetto ludico e autoironico, vera chiave vincente dell’iniziativa e del film stesso che porta una ventata di aria fresca nella denuncia di malefatte con discariche, truffe perpetrate e beffe subite.

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Presentare a Bergamo il suo nuovo documentario, Chirurgo Ribelle, per Erik Gandini è un po’ un ritorno alle origini, visto che si tratta di un bergamasco ormai cittadino svedese. Il chirurgo del titolo è Erik Erichsen che dopo avere a lungo praticato in Svezia, è stufo di fare il burocrate e con Sennait, la moglie infermiera etiope, va a Aira, un centinaio di chilometri a Ovest di Addis Abeba, dove deve improvvisare senza mezzi e senza risorse (e le immagini sono talvolta crude), ma tornando a essere medico con tutte le contraddizioni. Lo fa per dieci anni che ridanno senso e colore alla sua vita.