Sull’immunità acquisita da chi è entrato in contatto con il nuovo coronavirus ci sono ancora troppe incognite. Perciò, parlare di “”patente di immunità” come stanno facendo alcuni governi (e alcune regioni, aggiungiamo noi) è del tutto prematuro. È quello che afferma, in sintesi, un nuovo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicato ieri.

In molti paesi, infatti, si stanno avviando indagini “sierologiche”, cioè basate su test che individuano gli anticorpi nel sangue delle persone. Gli anticorpi sono molecole in grado di legarsi ai virus e neutralizzarli. Sono prodotti dal sistema immunitario e sono specifici per ciascun virus. L’organismo risponde anche con la cosiddetta “immunità cellulare”, attuata da cellule denominate “linfociti T”. Gli anticorpi non sono dunque l’unica risposta immunitaria al virus. Ma la loro presenza segnala che un paziente è entrato in contatto con il coronavirus, anche se l’infezione non ha causato sintomi come avviene in molti casi.

I test per individuare gli anticorpi sono ancora imprecisi, spiega l’Oms, perché sono soggetti a due tipi di errori. Un test, infatti, può risultare negativo anche se l’organismo si è infettato: il sistema immunitario potrebbe non aver ancora sviluppato gli anticorpi, un processo che richiede 1-2 settimane. Al contrario, il test potrebbe individuare anticorpi attivi contro altri coronavirus diversi dal Sars-Cov-2, e segnalare come positivo un individuo non infetto. «Entrambi gli errori hanno conseguenze serie e possono influenzare le attività di controllo», si legge nel rapporto.

Di solito, questi test vengono effettuati per valutare la diffusione di una malattia in una popolazione e non allo scopo di diagnosi individuale. Gli errori, in quel caso, possono al massimo influenzare le statistiche. «Ma i test non possono essere usati per stabilire se le persone sono immuni a infezioni secondarie», scrive l’Oms.

Secondo gli studi fatti finora le persone guarite hanno gli anticorpi, ma spesso in quantità bassissime. «Questo suggerisce che nel processo di guarigione l’immunità cellulare possa svolgere una funzione decisiva», sostiene il rapporto. «Finora, nessuno studio ha stabilito se la presenza di anticorpi conferisca immunità nei confronti di successive infezioni». Il monito dell’Oms è diretto ai governi che intendono attribuire patenti di immunità agli individui positivi ai test sierologici. Considerandosi immuni, «queste persone potrebbero ignorare gli avvisi delle autorità sanitarie» e contribuire al contagio.

L’immunità acquisita non è comunque esclusa dall’Oms. La durata dell’immunità nei confronti dei virus varia da malattia a malattia: una decina d’anni per il tetano, tutta la vita per il morbillo. Altri virus, che mutano più velocemente, possono dare un’immunità molto più breve.

Non è ancora chiaro a quale categoria appartenga il coronavirus.