A partire dai Balletti Russi di Diaghilev nasce la nuovissima Shéhérazade di Eugenio Scigliano, coreografo italiano con all’attivo ottimi titoli per il Balletto di Toscana, l’Aterballetto, lo Junior Balletto di Toscana, alla sua prima volta da coreografo al Teatro alla Scala, per il Trittico in scena fino al 13 maggio. Scigliano rilegge con piglio originale la sensuale storia tratta da Le Mille e una Notte che Fokin coreografò nel 1910 sulla partitura di Rimskij-Korsakov. A differenza di Fokin, che ne utilizzò solo tre, Scigliano trasforma in danza tutti e quattro i movimenti della partitura, ridisegnando con occhio contemporaneo personaggi e racconto. La passione tra Zobeide, interpretata con cocente espressività da Virginia Toppi, e lo Schiavo d’oro, il bravo Nicola Del Freo, diventa l’emblema di tutti quegli amori ai quali la libertà non è concessa: «ho inteso la storia di Zobeide» spiega Scigliano «come esempio di violenza sulle donne e di quello che devono subire ancora oggi, com’è dimostrato dalla tragica percentuale di femminicidi». Scena segnata dal rosso e dal nero, dal sangue e dalla morte, ma anche dal color carne che ci riporta alla naturalezza della passione fisica. Risultato una coreografia avvolgente, ben definita nel contrasto gestuale tra i personaggi di potere (Shariar e Zahman) e un femminile in vitale rivolta su cui domina, misteriosa osservatrice, la figura dorata di Shéhérazade.

«Nubi turbinose lasciano intravedere, a squarci, coppie che danzano il valzer… una sorta di apoteosi del valzer viennese a cui si mescola, nella mia mente, la sensazione d’un turbinio fantastico e fatale». Così scriveva Maurice Ravel sull’ispirazione di La Valse, poema coreografico commissionatogli da Sergej Diaghilev per i Balletti Russi nella stagione 1919-1920. A firmarne una nuova versione nel Trittico scaligero sono Stefania Ballone, Matteo Gavazzi, Marco Messina, ballerini/coreografi dell’ensemble milanese.

Una sfida creare in tre La Valse: 13 minuti in tutto, nei quali vibra, magnetico, un moto vertiginoso di disfacimento e bellezza. Ballone, Gavazzi e Messina hanno ambientato il contrasto tragico tra la piacevolezza del ballo e la sensazione di un destino di morte in una visionaria scena apocalittica dominata da una rampa di sfondo. Scrivendo per danzatori in bronzei costumi anni Venti valzer increspati che si frangono di continuo con effetto spiazzante tra ensemble e movimenti di coppia. Tra le due creazioni, un gioiello di George Balanchine del 1947: Symphony in C sulla omonima partitura di Bizet, titolato al debutto all’Opéra di Parigi Le Palais de cristal. Quattro movimenti che sono per il corpo di ballo un esercizio adamantino di stile e rigore.

In tutù classico le donne, in calzamaglia nera i maschi, il balletto ha visto alla prima nelle parti principali i talenti di ultima generazione Martina Arduino e Timofej Andrjashenko (primo movimento), la regale prima ballerina Nicoletta Manni in coppia con l’étoile Roberto Bolle (Adagio), gli sfavillanti Virna Toppi e Claudio Coviello (terzo movimento), Vittoria Valerio con Marco Agostino (quarto movimento). Un cult inossidabile.