Riecheggiavano ancora ieri sera i colpi dell’artiglieria israeliana sparati in direzione del territorio meridionale libanese. Decine di cannonate in risposta al duplice attacco con ordigni – danneggiato un blindato, almeno due soldati sono rimasti feriti – avvenuto nei pressi delle Fattorie di Sheeba/Kfar Chouba, il punto più critico della frontiera tra i due paesi, da quando Israele nel 2000 ha ritirato le sue forze che occupavano il Libano del sud da una ventina di anni. L’attacco è stato rivendicato da un’unità della guerriglia di Hezbollah che porta il nome di Ali Hassan Haidar, un combattente del movimento sciita ucciso lo scorso 5 settembre ad Adloun (Tiro) da una esplosione (pare innescata grazie a un drone) avvenuta poco attimi dopo che aveva scoperto un ordigno di ascolto appartenente con ogni probabilità al Mossad israeliano. Poche ore dopo la morte di Haidar, l’esercito libanese aveva riferito che un altro dispositivo di ascolto era stato scoperto e smantellato. Da allora in tutto il Libano meridionale la sicurezza di Hezbollah ha intensificato i controlli.

 

Ieri il portavoce militare israeliano è stato perentorio quando ha avvertito che responsabili sono «Il governo libanese e gli Hezbollah per questa eclatante violazione della sovranità israeliana». L’esercito – ha ammonito – risponderà a questa «aggressione non provocata contro le sue forze e continuerà ad operare per mantenere la sicurezza del nord del paese». L’attacco alle Fattorie di Shebaa segue l’episodio di tre giorni fa quando l’esercito israeliano ha comunicato di aver aperto il fuoco contro «persone sospette» che avevano tentato di infiltrarsi dal Libano. Beirut invece ha parlato di un suo soldato ferito da colpi sparati dal versante israeliano della frontiera.

 

La tensione negli ultimi due mesi è pericolosamente salita lungo le linee tra Libano e Israele. A dare fuoco alla miccia, non appena si era conclusa l’offensiva “Margine Protettivo” contro Gaza, sono stati i comandi militari israeliani che hanno cominciato ad ipotizzare un nuovo round con Hezbollah, dopo la guerra del 2006 costata la vita di oltre 1200 libanesi e di decine di soldati e civili israeliani. In Israele si è parlato molto dell’arsenale (100 mila razzi e missili) di cui sarebbe in possesso il movimento sciita e della possibilità che sotto la frontiera siano presenti gallerie simili a quelle scavate da Hamas tra Gaza e Israele. Il mese scorso è stato a dir poco inquieto dopo l’esplosione del 5 settembre, segnato anche dal caso del drone israeliano che si è schiantato nei pressi della città libanese meridionale di Marjayoun durante una missione di spionaggio.

 

Tuttavia l’attacco di ieri non sembra rappresentare una svolta nella linea che Hezbollah sta adottando da qualche tempo a questa parte nei confronti di Israele. Impegnato con migliaia di uomini a sostegno dell’esercito governativo siriano e lungo a frontiera con la Siria per impedire le infiltrazioni dei jihadisti di al Nusra e dell’Isis, Hezbollah con l’attacco contro il blindato più che innescare un confronto militare ampio sembra voler affermare il suo potere di deterrenza e la sua capacità di colpire. E vuole ammonire Israele dal cercare di approfittare dell’impegno dei suoi guerriglieri su più fronti. Valgono probabilmente ancora le spiegazioni date al quotidiano as-Safir lo scorso marzo dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, dopo un agguato dei combattenti sciiti ai danni di una pattuglia israeliana in apparente rappresaglia per il raid compiuto da aerei con la stella di Davide nella Valle della Bekaa. «Israele – disse – ha capito il messaggio molto bene. (L’attacco) non riguarda le regole di ingaggio, riguarda la deterrenza».