Il 9 novembre è l’anniversario della caduta del muro di Berlino e i mass media lo ricorderanno come l’emblema della sconfitta del sistema socialista sovietico. Di che cosa è l’emblema la costruzione dei muri in corso in Polonia (e in Ungheria e nei Balcani e non solo) contro i profughi mediorientali e africani? Forse lo è della crisi di un’Europa unita, autonoma, avanguardia politica e culturale.
Chi è interessato al nostro declino? E qual è la differenza tra il filo spinato polacco e il muro tedesco-orientale? Sono due domande che quasi nessuno più si pone.

1.Il declino europeo è un obiettivo americano, perseguito sin dalle nostre prime mosse «europeiste». Quando infine prese l’avvio, la comunità europea aveva fondamenta non politiche ma economiche e finanziarie. Che tutt’ora sono prevalenti perché non appena si affacciano altre opzioni, arriva lo stop d’oltre Atlantico.

La migliore opportunità è arrivata con la fine dell’Urss quando sono state accettate nel cortile occidentale – subito e tutte nella Nato – le ex repubbliche europee centro orientali, appena uscite dal cortile sovietico, in primis la Polonia. E ben presto il papa polacco e la comunità polacco-americana rassicurarono Washington che l’Europa sarebbe rimasta fedele e ossequiente. Perché la Polonia ha potuto esercitare ed esercita un così importante ruolo? Il motivo sta nel suo antico, secolare odio anti russo, che motivato sempre a voce alta in ogni occasione, ha allargato il fossato tra Bruxelles e Mosca. Il fossato condiziona le relazioni tra l’Unione Europea e la Russia a vantaggio di Washington. L’odio polacco era già vivo prima del 1917 ed è una storia non ancora conclusa. Le iniziative del momento di Varsavia sul controllo sui giudici, contro l’aborto, sui migranti, sull’antisemitismo richiamano gli anni Trenta del Novecento.

Saremo noi europei in grado di farvi fronte? Troveremo il coraggio di porre limiti alle pretese polacche, di considerarle mine anti-europee? Poiché tali sono in un clima geopolitico dove la prospettiva di una Europa con una Carta Costituzionale, un esercito e una ‘sua’ politica è in contrasto con il padrino della Polonia, con l’America, che non vuole problemi da noi, mentre noi dobbiamo affiancarla nei suoi problemi: Cina, Asia, Russia.

2. La differenza tra il filo spinato polacco (e ungheresee non solo) e il muro di Berlino riapre una porta sul passato, chiusa in gran fretta non appena divenne realtà la riunificazione della Germania. Chi erano i tedeschi che da Berlino est volevano vivere nell’altra parte della città, quella coccolata dall’Europa e dall’America, resa vetrina dello scontro con l’Urss? Erano in buona parte tecnici e intellettuali, ex borghesi con ruoli amministrativi e decisionali sui quali si era abbattuta l’ideologia sovietica, strappando loro privilegi antichissimi mentre i nuovi politici professionali avevano un’origine popolare o addirittura erano ebrei. Nei primissimi tempi della Germania orientale il terribile ministro della giustizia, persecutore dei nazisti, era la cognata di Walter Benjamin, il cui marito, comunista e ebreo, era scomparso in un campo di sterminio.

L’élite che fuggiva dalle tragedie del passato e dalle vendette del presente, voleva ritrovarsi nella società borghese e godere delle prerogative annesse alle proprie funzioni, crudelmente negate dall’altra parte del muro.
Chi sono i migranti che arrivano in Europa? Di sicuro nella gran massa vi sono persone che nel paese d’origine svolgevano attività di rilievo professionale e commerciale ma a guardarli così come sbarcano dai gommoni o attraversano terre proibite, gli ex privilegiati sono una minoranza. La maggioranza è giovane alla ricerca di lavoro e sicurezza. Ad accoglierli vi è il filo spinato polacco o le politiche ostili degli altri paesi europei. Nella percezione diffusa i migranti sono manovalanza a basso costo che mette a rischio il lavoro degli operai locali, così da renderli diffidenti sino al razzismo: all’ebreo usuraio si è aggiunto il siriano terrorista.

Si va ricreando una lotta di classe ma interna al mondo del lavoro dove l’avversario non è il datore di lavoro ma il migrante che è disposto a lavorare senza limiti di orario e senza pretese salariali. Ad usare gli uni contro gli altri sono i datori di lavoro e quei politici che utilizzano l’ideologia razzista per una visione divisiva del tempo presente.
In quella visione si possono trovare le arroganze polacche, le pretese americane, le timidezze europee, le diffidenze operaie, le delusioni dei migranti. Dove sono i politici con ipotesi alternative, politici europei con l’orgoglio di esserlo? Sono tutti a buttare le monetine nella fontana di Trevi, insieme ad americani, indiani, turchi e Bolsonaro?