Dieci anni di privatizzazioni pagate dai cittadini alle aziende che erogano servizi pubblici essenziali: acqua, gas, poste, trasporti urbani e ferroviari, pedaggi autostradali. Un’oligarchia di imprese pubbliche e private ha approfittato dei processi di liberalizzazione, avviati in Italia sin dagli anni Novanta, e ha imposto i suoi interessi sui beni essenziali per la vita della popolazione in una società moderna.

Nell’ultimo decennio della deregolamentazione e della privatizzazione, le tariffe dei principali servizi pubblici hanno registrato aumenti record. La più cara è l’acqua i cui costi sono aumentati dell’85,2 per cento; seguono i rifiuti, +81,8 per cento; il gas con il 53,5 per cento (2,3 volte in più dell’inflazione), i pedaggi autostradali, +50,1 per cento; i trasporti urbani, +49,6%. I servizi postali, gestiti dal monopolista Poste italiane diventata una Spa nel 1998, sono cresciuti del 37,8 per cento, un incremento uguale a quello registrato dall’inflazione. In questo aumento dei prezzi, non compensato da una crescita dei redditi che invece sono crollati, solo i servizi telefonici hano subìto una contrazione dei prezzi del 18,8 per cento, mentre l’inflazione è aumentata del 38,5 per cento. Tra le 10 voci prese in esame dalla Cgia di Mestre, questa è l’unica ad avere registrato una diminuzione. Ad esclusione della telefonia, il servizio taxi ha subito l’ incremento percentuale più contenuto.

Il segretario Cgia Giuseppe Bortolussi sostiene che le tariffe italiane sull’acqua «restano le più basse in Europa», come quelle dei biglietti ferroviari. Una valutazione che non sembra tenere conto del calo dei salari. Dal 1991 al 2013 i salari a prezzi costanti per ora lavorata in Italia sono cresciuti del 3,69% mentre negli Stati Uniti sono cresciuti del 36,34%, del 32,85% in Francia, del 28,53% in Germania. Un crollo, prodotto da una più che ventennale politica dei bassi salari e di estensione strutturale della precarietà sul lavoro, che oggi porta a considerare anche questi aumenti come un contributo sostanzioso all’impoverimento generale.

«Preoccupa – aggiunge Bortolussi – il boom registrato dall’asporto rifiuti. Nonostante in questi ultimi sei anni di crisi economica sia diminuita la produzione di rifiuti e sia aumentata la raccolta differenziata, le famiglie e le imprese hanno subito dei rincari ingiustificati». «Gli aumenti del gas -prosegue Bortolussi- hanno sicuramente risentito del costo della materia prima e del tasso di cambio, mentre l’energia elettrica dell’andamento delle quotazioni petrolifere e dell’aumento degli oneri generali di sistema, in particolare per la copertura degli schemi di incentivazione delle fonti rinnovabili. I trasporti urbani, invece, hanno segnato gli aumenti del costo del carburante e quello del lavoro. Non va dimenticato che molti rincari sono stati condizionati anche, e qualche volta soprattutto, dall’ aggravio fiscale».

La Cgia difende i principi «liberali» del libero mercato, ma registra il fallimento delle politiche di liberalizzazione e di privatizzazione iniziate sin dall’inizio degli anni Novanta in Italia. «In molti settori si è passati da un monopolio pubblico ad un regime oligarchico che ha tradito i principi legati ai processi di liberalizzazione» osserva Bortolussi. Una trasformazione mai realmente compresa dai governi italiani che hanno continuato a recitare il mantra del libero mercato e dello Stato minimo dal 1992 ad oggi e che presenta nuove incognite oggi.

Anche il governo Renzi è sulla strada per formalizzare un nuovo pacchetto di privatizzazioni e di liberalizzazioni dei servizi da cui dice di volere ottenere più di 12 miliardi di euro utili, a suo dire, per abbassare il debito pubblico. Un progetto che non ha funzionato durante la prima ondata delle privatizzazioni effettuate negli anni in cui il debito pubblico italiano cresceva in maniera stratosferica.

Bortolussi avverte il rischio di una nuova degenerazione oligarchica all’alba delle privatizzazioni annunciate dal ministro dell’Economia Padoan. «Invitiamo il Governo Renzi a monitorare con molta attenzione quei settori che prossimamente saranno interessati da processi di deregolamentazione. Non vorremmo che tra qualche anno molti prezzi e tariffe, che prima dei processi di liberalizzazione/privatizzazione erano controllati o comunque tenuti artificiosamente sotto controllo, registrassero aumenti esponenziali con forti ricadute negative per le famiglie e le imprese».