È doppia la posta in gioco del referendum consultivo che si tiene oggi in Olanda. Da un lato, difendere la privacy e la segretezza dei dati personali dai controlli invasivi delle autorità e dall’altro, salvare uno dei pochi strumenti, per quanto debole, di democrazia diretta previsti nell’ordinamento olandese.

Oggetto del referendum è la contestata nuova legge sulle intercettazioni e sulla privacy, detta «sleepwet», che rafforza i poteri delle agenzie governative di intelligence. Secondo la nuova normativa infatti, i servizi avranno la possibilità di tracciare e conservare tutti i dati provenienti da un qualsiasi dispositivo elettronico.

«In teoria anche un pacemaker può essere messo sotto sorveglianza» ha ironizzato il Socialistische Partij (Sp) che, insieme a altre sigle, ha appoggiato la raccolta firme per il referendum, partita da cinque studenti olandesi attraverso una piattaforma web.
Sulla legge sono piovute anche le critiche di molte organizzazioni impegnate sul fronte della difesa dei diritti e allarmate soprattutto dal capitolo della «sleepwet» che permette la condivisione dei cosiddetti raw data, dati grezzi, con i servizi di intelligence di altre nazioni. «È una minaccia per i diritti umani» sono state le parole di Eduard Nazarsky, direttore di Amnesty International a cui ha fatto eco anche un messaggio del segretario dell’associazione di categoria dei giornalisti olandesi (Nvj).

Al di là del merito della riforma, dall’esito e dalla partecipazione al referendum di oggi può dipendere anche il destino dello strumento referendario nell’ordinamento olandese. Introdotto solo nel 2015, i partiti al governo hanno già approvato alla camera bassa un testo di legge per eliminarlo dall’ordinamento olandese, spaventati dalla partecipazione inaspettata a quello del 2016 sul trattato tra Ue e Ucraina capace di frenare per mesi l’azione del governo olandese. Un’elevata affluenza al referendum di oggi potrebbe sancire la volontà opposta dell’elettorato, impedendo il passaggio definitivo al Senato.