Tanto tempo fa, negli anni dopo la Liberazione, in molte delle nostre campagne, specialmente in Emilia e in Campania, ma anche in altre regioni, il calore estivo era accompagnato da un odore acuto che emanava da vasche rettangolari, poco profonde, piene d’acqua, scavate nel terreno — i maceri — in cui venivano immerse le bacchette della canapa per dar modo a speciali microrganismi di scomporre, con un processo microbiologico, le sostanze «collanti» che tengono unite le fibre di canapa al loro supporto legnoso.

La canapa (come il lino, la iuta, il ramiè) è una fibra tessile che si ottiene da una pianta erbacea annua (Cannabis sativa) con fusto sottile ed eretto, alto da 2 a 6 metri, coltivata nei climi temperati. La fibra, ricca di cellulosa, si presenta sotto forma di lunghi filamenti, del diametro da 16 a 50 millesimi di millimetro, «attaccati» ad un sostegno, una bacchetta di lignina e cellulosa.

Per ricavarne la fibra, dopo la raccolta le piante si lasciano sparse sul terreno a seccare; i fusti vengono poi privati delle foglie e, riuniti in piccoli fasci, sono sottoposti alla macerazione, l’operazione che agevola il distacco delle lunghe fibre dalla bacchetta del fusto. La fibra vera e propria, o tiglio, viene liberata frantumando meccanicamente (stigliatura) i fusti i cui residui, i canapuli, si usano come combustibile e per la produzione di cellulosa.

Le operazioni di macerazione e stigliatura richiedono una tecnologia abbastanza raffinata, in parte sviluppata e perfezionata proprio in Italia. Uno dei microrganismi utilizzati nella biotecnologia della macerazione era stato selezionato e identificato in Emilia e prendeva il nome di Bacillus felsineus.

Per la stigliatura si usano macchine che assicuravano l’integrità delle fibre, tanto più pregiate quanto più sono lunghe e omogenee.

La fibra è soltanto una piccola parte, circa il 10 %, delle circa 10 tonnellate per ettaro di biomassa secca che si ottiene in un anno dalla coltivazione della canapa.

Relegata per anni a usi meno nobili, come la produzione di sacchi, spaghi e cordami, ricomincia a trovare utilizzazione per la produzione di tessuti per lenzuola, tende e indumenti, grazie anche a innovazioni tecniche nei processi di filatura e tessitura.

Le fibre di canapa si prestano anche per la produzione di fibre tecniche, per esempio per le imbottiture, per cordami, per carta di qualità, eccetera. Vi sono poi fibre corte che trovano impiego per la produzione di pasta da carta, di manufatti di fibro-cemento e in edilizia.

I canapuli, ricchi di lignina e emicellulose, si prestano per la fabbricazione di cartoni, in edilizia come pannelli, e in altri usi commerciali, fra cui la produzione di alcol etilico che può essere usato come carburante in miscela con la benzina.

I semi di canapa trovano impiego nell’alimentazione animale e il relativo olio viene usato in cosmesi, per vernici, eccetera, ma ha anche potenziale importanza per la produzione di «biodiesel», il carburante per motori diesel ottenuto per trasformazione dei grassi naturali.