Una produzione perlopiù europea (StudioCanal) ma su un soggetto americanissimo. Stregato dal fantasma di Bob Dylan (un ebreo del Minnesota come Joel e Ethan Coen, che hanno hanno definito la copertina del disco Freewhilin’ Bob Dylan una delle ispirazione visive del film), A proposito di Davis è anche uno dei lavori più dolci, meno graffianti dei due fratelli.

Evocando la costruzione omerica e la passione musicale di Fratello,dove sei? ma anche l’andamento circolare classico del racconto ebraico di A Serious Man, i Coen, coadiuvati dal produttore T. Bone Burnett (con loro anche in Fratello...) rivisitano la scena folk del Village newyorkese anni sessanta, pre- Dylan, quando piccolo gruppi e musicisti solitari, nei caffè tra Washington Square e Houston Street, comunicavano tra di loro a forza di vecchie canzoni, un esoterico linguaggio segreto ancora impenetrabile per i talent scout delle case discografiche che entro pochissimo avrebbero scoperto, oltre a Dylan, future star del genere, come Peter Paul and Mary e Phil Ochs. A proposito di Davis, si svolge in un periodo che va tra il gennaio 1960- gennaio 1961 precisa, nelle note che accompagnano il film, Elijah Wald, coautore del libro The Mayor of McDougal Street, da cui è tratto. Il «sindaco» del titolo, e l’uomo la cui storia e musica anno ispirato i Coen, è il musicista Dave Van Ronk, che sullo schermo diventa Llewyn Davis e ha le sembianze, oltre che la voce molto bella, di Oscar Isaac.

L’odissea tristissimo/comica (tipico mix dei Coen) di Llewyn, e di un gatto rosso dei suoi ospiti che deve accudire per sbaglio quando entrambi rimangono chiusi fuori dall’appartamento, comincia una mattina presto nell’Upper West Side. Corre veloce (le stazioni della metropolitana che sfilano una dopo l’altra) dai salotti intellettuali ebrei intorno alla Columbia University, verso la Downtown dove Llewyn si parcheggia, di divano in divano, a casa di amici. Ignorato dal suo manager Mel, bistrattato da Jean/Carrie Mulligan (perché forse è lui che l’ha messa incinta, e lei ama invece Jim/Justin Timberlake, quindi gli fa pagare l’aborto) e messo al bando dalla sorella classica casalinga suburbana da Fifties, come moltissimi personaggi dei Coen, Llewyn è afflitto da una sfortuna cosmica.

Ma è anche scontroso, sardonico, -«autodistruttivo» si direbbe nel linguaggio da self help di oggi… Nel suo passato l’ombra di un partner musicale suicida, nel presente il gatto rosso che deve restituire ma che continua a perdere e/o di cui continua a cercare di liberarsi, come Holly Goolightly in Colazione da Tiffany, e una metafora del suo rapporto con la musica. Fuori dal locale, una sera, un misterioso uomo con il cappello lo riempie di botte. Il deadapan freddo dei Coen (qui dilatato al massimo) e la conflittualità naturale del personaggio si ammobidiscono quando Llewyn canta (alcune delle canzoni più famose di Rank). «Volevo che la sua anima si esprimesse attraverso la musica. Llewyn ha un rapporto irrisolto con il successo», ha detto Isaac alla conferenza stampa che ha seguito la prima mondiale del film, a Cannes, il maggio scorso.

E, in effetti, quando canta/suona sembra rivolto più di tutto a se stesso. Esaurite le sue chance newyorkesi, Llewyn espande l’ odissea fuori città, portandola on the road, nella parte più bella e surreale, del film (la fotografia, desaturata in una palette di grigi bruni e Verdi spenti è dall’operatore del Faust di Sokurov, Bruno Delbonnel): un viaggio verso il Midwest ghiacciato in compagnia, oltre che del solito gatto, di Garret Hedlund e di John Goodman, blues/jazzman fattissimo, che cammina a malapena. Ma, una volta a Chicago, anche il famoso impresario musicale Bud Grossman (Murray Abrahms) gli dice picche. «Non vedo molti soldi in questa musica. Forse, se accetti di far parte di un gruppo…Anzi, faresti bene a tornare con il tuo partner». Sfigato o no, il destino di Llewyn è in quei fumosi locali del Village.