Nina di Maio: “Uno studio del ministero dell’interno ha confrontato i dati dei tre cosiddetti “reati spia” -atti persecutori, violenze sessuali e maltrattamenti contro familiari e conviventi, – nel periodo 1°-31 marzo 2020, con quelli dell’analogo periodo del 2019. “Nel periodo 2020 – si legge nel documento – i valori assoluti, pur inferiori a quelli del 2019, mostrano una progressiva diminuzione nelle prime tre settimane, ed un lieve incremento nella quarta settimana (289) rispetto alla terza (278)”.

Entrando nel dettaglio dei tre distinti reati, il dato dei primi due è coerente con quello globale: gli atti persecutori – che passano da 52 della prima settimana a 13 dell’ultima settimana – e le violenze sessuali (184 nella prima settimana, 59 nell’ultima settimana di marzo), infatti, registrano una costante flessione nel periodo preso in esame. Il dato dei maltrattamenti contro familiari e conviventi subisce, invece, dopo un’iniziale diminuzione, un incremento a fine marzo, toccando infatti quota 217 nell’ultima settimana.

Ma per comprendere meglio la portata del fenomeno è necessario capire l’incidenza che sui reati commessi ha il genere, ovvero quando i reati commessi sono stati perpetrati contro la donna. Nel capitolo “vittime dei reati spia” del documento ministeriale, si nota come, “l’incidenza delle vittime donne faccia rilevare un picco nel periodo 1-7 marzo (78,75 per cento), mantenendosi sempre su valori elevati, leggermente in flessione nell’ultima settimana (67,74%)”. E ancora: “Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi mostra un andamento costante sia per il numero rilevante di reati commessi (217 reati), sia per l’incidenza delle vittime donne, con una media sempre superiore al 75 per cento”. Cosa pensi Sarantis di questo binomio lockdown – violenza sulle donne? E della solitudine delle donne in questo momento di pandemia?”

Sarantis Thanopulos: “Cara Nina, la convivenza coercitiva e il venir meno delle reti relazionali esterne, che fanno “respirare” le coppie, hanno fatto degenerare i conflitti coniugali già esistenti. La clausura ha creato pure una certa solidarietà tra i “congiunti”, ma ha messo in crisi i rapporti poco solidi. E quando scoppia la violenza il conto lo pagano le donne.

Al di là della violenza domestica, il “distanziamento sociale” ha esercitato una maggiore violenza psichica sulla donna piuttosto che sull’uomo. Le donne sono state più dirottate verso lo “smart working”, perché il loro lavoro è, in generale, meno legato alla necessità di “presenza”.

Il lavoro in casa può essere un rimedio a circostanze eccezionali che impediscono di recarsi alla propria sede lavorativa. Nondimeno, costituisce, col passare del tempo, un fattore di stress psicofisico, a causa del venir meno dell’effetto distensivo e della facilitazione dell’intesa con gli altri che il contatto diretto garantisce.

Il rischio che la pandemia ci lasci in eredità la tendenza a richiudere le lavoratrici nel recinto dello smart working e della casa (regno del lavoro in nero) non è aleatorio. Il lavoro in casa oltre a risospingere le donne nel ruolo di casalinghe e accuditrici, porta, nella maggior parte dei casi, a un aumento dei ritmi lavorativi e dello sfruttamento.

Infine, il distanziamento ha colpito la femminilità come qualità umana dell’esistenza. Si attribuisce agli uomini un maggior contributo alla costruzione delle relazioni di scambio, per via della loro maggior presenza nei luoghi sociali. Tuttavia gli umani sarebbero nient’altro che un esercito di formiche disciplinate, e di fatto impazzite, senza la capacità femminile, squisitamente erotica, di apertura, esposizione all’altro che rende le relazioni significative, profonde. La solitudine della femminilità (della piena espressione della donna) è la causa principale del disagio della civiltà. La pandemia l’ha resa più esplicita di prima.”