L’occupazione delle scuole secondarie superiori del mese di febbraio è stata, per moltissime ragazze e ragazzi, la prima occasione per sperimentare l’ebbrezza dell’autogestione, la possibilità di scegliere in autonomia temi di discussione e di confrontarsi con orizzonti di senso civico-politici. Le parole d’ordine sono state quelle dell’alternanza scuola-lavoro, della seconda prova all’esame di maturità, della didattica a distanza e del rafforzamento del sostegno psicologico. Su molti di questi temi gli studenti non sono stati lasciati soli: al loro fianco, le medesime preoccupazioni sono state espresse da diversi docenti e presidi. Storicamente, i movimenti studenteschi sono stati uno dei bacini di reclutamento della classe politica, almeno fino agli anni ’90. Il legame tra movimenti studenteschi e politica si è fortemente affievolito negli ultimi 30 anni. Già il movimento della “pantera” – che si è sviluppato tra il dicembre ’89 e il marzo ’90 con l’occupazione di molte università italiane in opposizione alla “riforma Ruberti” – ha mostrato come una mobilitazione, per quanto ampia e radicale, sia poco efficace se non si raccorda all’azione politica dei partiti, se non crea figure di leader, carriere politiche e nuove strategie per la costruzione del consenso. In questa ultima mobilitazione, la separazione tra partiti e movimenti è stata nettissima.

D’altra parte, è al stessa composizione sociale dell’occupazione – nonché la sua “geografia” e diffusione nel tessuto territoriale – a essere lo specchio della scarsa capacità di rappresentanza dei partiti. Se osserviamo i dati relativi alla città di Torino, per esempio, non possiamo non sottolineare alcuni fatti evidenti a supporto di questa tesi. Anzitutto, la mobilitazione ha interessato in gran parte i licei: su 28 istituti occupati, ben 17 sono licei, 5 sono tecnici-licei e solo 6 sono istituti tecnici o professionali. Gli studenti delle 28 scuole che si sono mobilitate nella città, rappresentano il 63% degli studenti torinesi: una percentuale quindi di tutto rispetto. Un bacino potenziale di reclutamento e costruzione del consenso, se esistessero ancora dei partiti degni di questo nome e interessati a fare “scouting” nei movimenti. Se scomponiamo per tipo di istituto, vediamo che questa percentuale è fortemente sbilanciata a favore dei licei, che sono appunto la gran parte delle scuole mobilitate. Fatto 100 il totale degli studenti secondari di Torino, si sono mobilitati l’80% degli studenti liceali e il 20% di studenti tecnici e professionali.

Questa composizione “di classe” della mobilitazione ha poi una chiara impronta spaziale e temporale. Se guardiamo la mappa della mobilitazione, osserviamo chiaramente che la distribuzione geografica degli istituti penalizza la zona nord e nord-est della città: quella oltre il fiume Dora, con redditi più bassi e indici di deprivazione più elevati. È anche la zona di Torino che, alla precedente tornata elettorale, aveva votato massicciamente il Movimento Cinque Stelle e che a questa si è astenuta, agevolando la vittoria del centro-sinistra. Se osserviamo la mobilitazione nel tempo, poi, vediamo con chiarezza che prima si sono mossi i licei delle zone Centro-San Salvario – i due licei classici frequentati dai figli della Torino “ZTL” (il “Gioberti” e “l’Alfieri”) – la buona borghesia riflessiva del centro città che costituisce lo zoccolo duro del consenso al partito democratico. Via via la mobilitazione si è diffusa nel resto della città, attraverso “blocchi” di istituti mobilitati nello stesso giorno, segno evidente di un processo di coordinamento pregresso. È anche rilevante notare che – nei 15 giorni di occupazione dal 1^ al 16^ febbraio – ben 14 istituti si sono mossi per “imitazione” solo negli ultimi 3 giorni e, di questi, ben 8 solo l’ultimo giorno.

Al termine del processo di mobilitazione, la mappa restituisce una chiara fotografia, corrispondente alle zone più “forti” della città, a quelle più fedeli al centro-sinistra o, in parte, a quelle elettoralmente “contendibili”. Rimangono invece ai margini, come appena sottolineato, le aree più deboli e che hanno abbandonato da tempo il centro-sinistra e che, alle ultime amministrative, hanno preferito astenersi. Alla lezione che ho tenuto il 3 febbraio al Liceo Gioberti “occupato” (cfr. https://volerelaluna.it/che-fare/2022/02/08/il-noi-mancante-e-la-domanda-di-politica/) ho parlato dei meccanismi di formazione del soggetto collettivo e di come le occupazioni possano costituire occasioni rituali importanti per la nascita di una domanda di politica e di futuro condiviso. Nella discussione che è seguita, una ragazza ha chiesto: “come possiamo dare continuità a questa occupazione, quando sarà finita?”. Non avevo ancora elaborato questi dati, ma la mia risposta li ha anticipati: “preoccupandovi delle scuole di periferia, cercando alleanze con loro, tessendo reti e scambi tra istituti. Per una scuola migliore per tutti gli studenti di Torino”. Compito che sarebbe più semplice da attuare, se ci fosse una politica attenta ai movimenti e un sistema dei partiti capace di aggregare la domanda di cambiamento.