Il cinema, i cinema e i loro futuro, sono una presenza regolare nell’ormai fitto filone della «letteratura da lockdown». Mentre Pedro Almodovar pubblica un affascinante diario dei suoi giorni forzatamente chiuso in casa, registi come Edgar Wright (sulla rivista inglese «Empire») e Christopher Nolan (sul «Washington Post») sono scesi in campo con editoriali in sostegno dell’esperienza della sala e della magia del grande schermo. Certo, con le date di riapertura tutte in forse, gran parte delle previsioni sul futuro dei cinema non sono rosee.

«Variety» ha evocato l’ombra della possibile bancarotta per la catena di multiplex Amc (una delle maggiori degli States) e l’incognita per il popoloso mondo delle piccole sale indipendenti è molto grande. «L’unica cosa di cui avere paura è la paura» dice, citando Franklin Roosevelt al posto dei titoli dei film in programma, il marquee del leggendario Film Forum, dietro l’angolo di casa. No Upcoming Shows indica laconica la pagina web bianca della sala newyorkese più chic del momento, il Metrograph.

Mentre, sulla costa ovest, il Beverly Cinema (quello di Tarantino) ha sul sito due foto della sala vuota – chiusura temporanea. Gran parte di questi cinema indie stanno riempendo i moduli per accedere ai finanziamenti straordinari stanziati dal governo federale per le piccole aziende. La più grossa organizzazione che li raggruppa, la ArtHouse Convergence, ideata nel 2006 a partire dal Michigan Theater, un fastoso movie palace restaurato nella la cittadina universitaria di Ann Arbor, vicino a Detroit, ha aperto una Google chat di mutuo soccorso e mutua informazione in cui ci si scambiano centinaia di mail al giorno.

Tre le soluzioni sempre più frequenti adottate dalle piccole e meno piccole sale cinematografiche indipendenti (che vivono della fedeltà dell’audience e delle membership annuali) per mantenere il contatto con il proprio pubblico e i membri è quello che fino a qualche mese fa sarebbe stato considerato un patto con il diavolo: una programmazione in streaming. L’opportunità è nata dall’iniziativa una manciata di distributori ArtHouse che, al momento della chiusura, si sono trovati con film appena usciti o in uscita per cui magari avevano già investito in pubblicità e che sarebbero semplicemente scomparsi. Compagnie come FilmMovement, Kino Lorber, Greenwich Entertainment e Oscilloscope, spesso già dotate di una propria piattaforma streaming, hanno infatti messo a disposizione esclusiva delle sale alcuni titoli del loro listino.

Da qui la nascita di una proliferazione di incarnazioni virtuali di cinema come il Film Forum o il Michigan Theater che offrono in streaming prime visioni o classici appena restaurati per un biglietto un po’ ridotto di quello che lo spettatore avrebbe pagato recandosi al cinema. Il biglietto si può acquistare a partire dal sito della sala prescelta, dove un link fornito dal distributore ti conduce alla piattaforma d’accesso al film. Nel caso di questi cinema virtuali, non è la sala che raccoglie gli incassi derivati dalle vendite dei biglietti e poi li divide con il distributore, bensì viceversa.

In genere gli incassi si dividono secondo una proporzione intorno al 50%. Per ora, si tratta nella maggior parte dei casi di poche centinaia di dollari. Ma dal punto di vista dei cinema, il profitto è una priorità inferiore al bisogno di rimanere una presenza nella vita degli spettatori. Tra i titoli attualmente disponibili nei cinema virtuali, il film cinese Il lago delle oche selvatiche, il russo La ragazza d’autunno, il restauro di L’innocente di Visconti, un documentario su Pauline Kael e uno sul fotografo Bill Cunningham.

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