Le indagini diranno, si spera, di che cosa è morta Imane Fadil, la 34enne che fu fra le prime a raccontare nei dettagli che cosa succedeva alla cene eleganti, o serate bunga-bunga, organizzate per Berlusconi ad Arcore. Sul suo decesso la procura di Milano ha aperto un’indagine per omicidio volontario, ma non potrà più deporre al processo Ruby ter che dovrà stabilire se il silenzio di molte ragazze fu comprato. La cosa certa, per ora, è che la sua morte riporta sulle prime pagine quella stagione che circa dieci anni fa rese pubblica la modalità con cui l’entourage di Berlusconi gli metteva a disposizione donne giovani, belle e talvolta minorenni per festini e sesso. Prostituirsi o pagare una donna prostituita in Italia non è reato, ma lo sono il favoreggiamento e l’induzione alla prostituzione e per questo sono stati condannati, nel 2018 – con sentenza non ancora passata in giudicato – Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti.
Patrizia D’Addario fu la prima a parlare, nel 2009, di come Gianpaolo Tarantini reclutava escort per serate con l’ex presidente del consiglio. Da lì in poi tante donne sono finite sotto i riflettori. Lo scandalo scatenò la stampa che faceva a gara a ottenere interviste, racconti piccanti, scoop.

È IL MESTIERE del giornalista, e va bene. Dal canto suo, la gente era golosa di sapere e commentare quella vicenda di lenzuola che non definirei boccaccesca per non offendere Boccaccio, ma squallida sì. Squallida perché nulla è più svilente che dover pagare o promettere vantaggi a una donna affinché venga a letto con te o sia disponibile alle tue richieste. Prima ancora che prostitutore, come oggi le femministe definiscono i clienti, Berlusconi sembrò agli occhi di tante/i di noi un poveraccio del materasso. Tuttavia fu sulle ragazze che si concentrò l’attenzione più morbosa, come se fossero loro il centro della vicenda anziché comprimarie di un gioco scelto, deciso e pilotato da altri.
In quegli anni intervistai per Vanity Fair due di loro, Karima el Mahroug detta Ruby e Nadia Macrì. La prima, sebbene maggiorenne da pochi mesi, possedeva già tutta la scaltrezza di chi conosce il peggio del mondo e ha imparato presto a trarne ogni vantaggio possibile, tipo mors tua vita mea. Non capivi mai dove finiva l’innocenza e iniziava la manipolazione. La seconda era l’esatto contrario, spericolata fino a un inconsapevole autolesionismo nel raccontare le peggio cose che le erano capitate. Una sola parola non ammetteva: essere definita prostituta. Si sentiva una escort, ovvero una donna che viene reclutata per tenere compagnia e non necessariamente va a letto. Erano, i loro, due modi diversi di preservare la propria immagine dal facile giudizio con cui mezza Italia, se non tutta, si dava di gomito parlando di loro.

QUELLO stigma ha segnato soprattutto le donne protagoniste di quei fatti tant’è che, appena divulgate le misteriose circostanze della sua morte, Imane Fadil è stata definita «Una delle olgettine». È un marchio facile da ricordare, ma un marchio e per di più indecente perché lei rifiutò sempre compensi per stare zitta. Ai maschi, invece, molto è stato perdonato e infatti Berlusconi è ancora sulla scena politica.
In tutta quella vicenda sono le donne ad aver pagato il prezzo più alto perché strumentalizzate più volte: prima da chi voleva avere facile accesso ai loro corpi, poi da chi cercava di usarle per farle tacere o indurle a parlare, infine, passata la bufera, dimenticate o non ascoltate. Ma di loro, come persone, è mai importato davvero qualcosa a qualcuno? Imane Fadil ha dovuto morire per emergere da quel silenzio, peccato che ora non possa dire più nulla.

mariangela.mianiti@gmail.com