Boko Haram, o meglio la sua diramazione dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale (Iswap) colpisce ancora. «Una donna con una cintura esplosiva si è introdotta nel villaggio di Kaiga-Kindjira e si è fatta esplodere uccidendo 9 civili e ferendo oltre 30 persone» ha affermato un rappresentante del governo del Ciad all’agenzia Afp.

La rivendicazione da parte dell’Iswap è arrivata solo ieri. Un attentato voluto «per rispondere al vertice di Pau e per favorire la creazione di uno Stato Islamico in tutto il bacino del lago Ciad» come rivendica il gruppo e riporta il sito di monitoraggio dell’attività jihadista Site. La fascia del Sahel, da sempre regione di instabilità e insicurezza, acquisisce nuova centralità geopolitica. Lo confermano i recenti attacchi che ultimamente hanno colpito militari e civili in Niger, Mali, Burkina Faso, Nigeria, Camerun e Ciad, «con oltre 300 vittime negli ultimi due mesi» riporta Amnesty International.

L’ultimo attacco suicida arriva proprio mentre il ministro francese della Difesa, Florence Parly, era in visita lunedì mattina nella capitale del Ciad, N’Djamena, dove ha incontrato la sua controparte ciadiana. Una risposta dei gruppi jihadisti al vertice della scorsa settimana di Pau, in Francia, che ha ridefinito l’assetto della missione militare nella regione, con un comando congiunto tra Barkane (l’operazione francese contro i gruppi jihadisti) e la forza regionale G5 Sahel.

Il nuovo quadro è strutturato su 4 obiettivi: il primo strategico e militare, il secondo riguardante l’addestramento degli eserciti saheliani, il terzo si occupa del ritorno dello Stato e delle amministrazioni e un ultimo è dedicato allo sviluppo. Assetto che «non tiene sufficientemente conto della complessità della situazione, che non si può risolvere solo militarmente, ma soprattutto favorendo la lotta alla corruzione e alla centralità dello stato» come afferma Ibrahim Maïga, dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza (Iss) di Bamako al canale France 24. Target prioritario sarà sicuramente, come dichiarato da Emmanuel Macron dopo il vertice, il gruppo o la katiba considerata il principale nemico: lo stato islamico nel grande Sahara (Eigs).

«All’inizio del conflitto, i gruppi in Mali e raggruppati sotto lo stendardo di al-Qaeda sono stati i protagonisti del jihadismo saheliano, ma ora è lo Stato Islamico del Grande Sahara a dominare la scena» dice Jean-Hervé Jézéquel, direttore del progetto Sahel presso l’International Crisis Group: «Fino al 2018 il gruppo ha lavorato per insediarsi nelle aree di confine tra Niger, Burkina Faso e Mali per reclutare e finanziarsi, ma ora come dimostrano gli attacchi mortali di questi mesi è pronto. E per la prima volta ci sono lunghi video montati dall’apparato di propaganda centrale dello Stato Islamico – continua Jézéquel nel suo report – con modalità e tecnologie simili a quelle usate in Iraq o Siria».