Sembrava impossibile, ma «we just dit it» e ne siamo «orgogliosi», ha affermato ieri la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nel tradizionale discorso sullo «stato dell’Unione» (qui il testo integrale). Di fronte all’Europarlamento a Strasburgo, guardando l’atleta italiana Bebe Vio, sua invitata speciale, Ursula von der Leyen ha fatto leva sui «successi» del difficile anno passato, la battaglia contro il Covid e il piano di rilancio con indebitamento solidale, per presentare i programmi del futuro, il controverso programma di Unione della Difesa, l’iniziativa per favorire l’«autonomia europea» nel campo dei semiconduttori e dare una risposta ai giovani sempre più ansiosi di fronte alla crisi climatica.

Passano in secondo piano le crisi interne alla Ue: quella migratoria, dove è insabbiato il Nuovo patto su migrazione e asilo, che fa «progressi penosamente lenti», e la questione del rispetto dello stato di diritto, evocata frettolosamente (mentre i piani di rilancio di Polonia e Ungheria non sono stati ancora approvati e c’è il blocco dei versamenti del recovery).

Un anno e mezzo fa, i paesi Ue hanno cercato di rubarsi mutualmente dei carichi di mascherine made in China. Oggi, la Ue può vantare di aver messo in piedi una cooperazione nel campo sanitario prima inesistente, di essere l’area più vaccinata (70%), di aver evitato eccessivi blocchi alle frontiere con il green pass, di aver fornito 700 milioni di dosi a 130 paesi (anche se a volte è stato a pagamento e a paesi ricchi), benché Bruxelles persista a rifiutare la levata dei brevetti sui vaccini. La crisi non è ancora finita e bisogna evitare che «non si traduca in una pandemia dei non vaccinati». Ursula von der Leyen ha evocato il programma Hera, la versione europea dell’agenzia Usa di ricerca biomedica Barda, che rientrerà nel finanziamento di 50 miliardi per la salute entro il 2027.

Il disordinato abbandono dell’Afghanistan, a rimorchio di una decisione presa dagli Usa senza consultare gli alleati, sta smuovendo le acque sul fronte della difesa, anche se ci sono enormi ostacoli. All’inizio dell’anno prossimo, sotto presidenza francese, si terrà un vertice sull’Unione della Difesa. Ma l’ex ministra della Difesa tedesca resta prudente, non pronuncia il termine «autonomia strategica» e preannuncia una nuova dichiarazione congiunta Ue-Nato «entro fine anno». Già esiste una forza rapida, ma non è mai stata operativa: potrebbe diventarlo, con 5mila militari pronti all’azione «dove Nato e Onu non sono presenti», per «gestire le crisi a tempo».

Le tappe della difesa sono in primo luogo un miglioramento della cooperazione dell’intelligence tra paesi Ue, organizzare una difesa contro i cyber-attacchi e, pensando agli affari, togliere l’Iva per l’acquisto di materiale militare comune made in Europe. L’autonomia vale anche per l’industria, il Covid ha messo in luce le lacune: ci sarà un European Chips Act per iniziative nel campo dei semiconduttori. A giugno la Commissione ha presentato un pacchetto sul clima, ma l’aumento del prezzo dell’elettricità rischia di far saltare tutto, per timore di rivolte stile gilet gialli in tutta Europa. «Metteremo un prezzo all’inquinamento» ha ribadito Ursula von der Leyen, sottolineando che «bisogna essere sicuri che più alte ambizioni sul clima vengano assieme a maggiori ambizioni sociali». Per il gruppo S&D «il Green Deal ha bisogno di un pilastro sociale», bisogna «rafforzare il Fondo per il clima». La presidente annuncia che la Ue stanzia altri 4 miliardi per i paesi poveri – ne mancano 20 per mantenere la promessa di 100 miliardi – ma sollecita altri, Usa in testa, a fare la loro parte.

Insoddisfatti i Verdi: «un’ora di discorso e solo 5 minuti sulla crisi climatica». Per i giovani, inquieti, la Commissione propone un rilancio del programma Leonardo sulla mobilità di lavoro e vuole fare del 2022 l’anno a loro dedicato, con la discussione aperta tra i cittadini nella Conferenza sul futuro dell’Europa. Sul fronte sociale, c’è l’impegno a non importare più prodotti fabbricati con il ricorso al lavoro forzato. Sulle modifiche eventuali al Fiscal Compact se ne riparlerà, per il momento basta la soddisfazione di constatare che in 19 paesi l’economia è tornata ai livelli pre-Covid e che «gli altri seguiranno».