Una scena impensabile fino a qualche anno fa ora forse non stupisce nessuno. Ma se ai margini dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dovessero incontraarsi il presidente Barack Obama e il suo omologo iraniano, gli assetti in Medio oriente potrebbero cambiare. L’ultimo incontro tra i presidenti dei due paesi risale al colloquio di Jimmy Carter con lo Shah nel 1977.
Alla vigilia del suo intervento, Rohani ha parlato di multilateralismo della Repubblica islamica in politica estera e di «inaccettabili» sanzioni all’Iran in riferimento al programma nucleare. Non solo, a conferma del nuovo corso in politica estera della Repubblica islamica sono arrivate le dichiarazioni della guida suprema Ali Khamenei che ha parlato di vittoria della diplomazia sul «militarismo».
La Rivoluzione islamica del 1979 ha segnato un allontanamento sostanziale tra Stati uniti ed Iran. La retorica khomeinista ha rappresentato Washington come responsabile dell’intossicazione del popolo iraniano negli anni precedenti alla rivoluzione. La questione degli ostaggi americani nell’Ambasciata statunitense a Tehran, conclusasi con il loro rilascio nel gennaio del 1981, ha determinato il congelamento delle relazioni diplomatiche formali tra i due paesi. Negli anni Novanta, nonostante il pragmatismo dei governi del tecnocrate Rafsanjani, Usa e Iran non hanno compiuto passi per una ripresa delle relazioni reciproche. Anzi, proprio in quegli anni è stata promossa dagli Stati uniti una politica di doppio contenimento (dual containment) tra Iran e Iraq. Gli Stati uniti hanno accresciuto il loro controllo nel Golfo Persico sostenendo l’Arabia Saudita come guida regionale. Ciò avrebbe lentamente condotto all’isolamento dell’Iran ed al rovesciamento del governo baathista iracheno. A tal proposito, è proprio del 1996 l’approvazione dell’Ilsa (Iran-Libya sanction Act), la legge che aveva come obiettivo l’isolamento commerciale della Repubblica islamica tramite sanzioni alle aziende che intendessero promuovere ingenti investimenti in Iran. Ma si è trattato di un provvedimento spesso male applicato e non efficace.
Con la vittoria dei riformisti nel 1997 e le prime aperture dei paesi europei, anche l’ex presidente Bill Clinton aveva manifestato l’intento di un possibile riavvicinamento con l’Iran. In particolare, l’ex segretario di Stato Madeline Albright ha espresso il suo rammarico per l’intervento dei Servizi americani nel colpo di stato che ha allontanato dal potere Mossadeq nel 1953. Mentre il partito dei Mojaheddin del popolo iraniano (Mek) è stato collocato nella lista dei movimenti che sostengono il terrorismo, proibendo donazioni private in suo favore.
Dopo l’11 settembre 2001, l’ex presidente George Bush ha indicato l’Iran tra i paesi accusati di «sostenere il terrorismo internazionale, av produrre armi di distruzione di massa». Con la guerra in Afghanistan, appoggiata dalle autorità iraniane, e l’attacco all’Iraq del 2003, in cui l’Iran si è detto neutrale, i contatti tra Stati uniti ed emissari iraniani sono stati molteplici. Ma a contribuire all’isolamento di Tehran, è arrivata la stigmatizzazione del programma nulceare iraniano. E così, anche nel 2013 l’Agenzia per l’energia atomica internazionale (Aiea) ha denunciato l’incremento della capacità di arricchire l’uranio dopo l’installazione di centinaia di nuove centrifughe nella centrale di Natanz.
Dopo anni di isolamento che nascondono un costante coinvolgimento di Tehran nei conflitti regionali, con l’elezione di Rohani si potrebbero creare le condizioni per nuove relazioni con Washington, per risolvere crisi siriana e questione nucleare, ma anche per affrontare la grave instabilità in Iraq, Afghanistan e per gestire la nuova stagione delle rivolte in Medio oriente.