A partire dalle elezioni politiche del 2013 l’Italia ha smesso di vivere la sua epoca di cambiamenti, per entrare in un vero e proprio mutamento epocale. È la tesi principale a cui sono giunti gli studiosi che hanno contribuito a scrivere il Quaderno della rivista «Dialoghi», dedicato a un’analisi intrecciata della democrazia, di internet e della comunicazione politica in un momento topico (e controverso) per il nostro paese. Ne parliamo con Piermarco Aroldi, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Cattolica di Milano, nonché curatore del Quaderno stesso.

Definite l’esperienza del governo tecnico di Monti, nonché il periodo che è culminato con le elezioni del 2013 (quelle in cui non vinse nessuno), come un turning point decisivo, la fotografia di una storica crisi di sistema del nostro Paese. In che senso?
Si è trattato di un momento particolare della recente vita democratica, caratterizzato dalla fine del berlusconismo e dell’asse con la Lega, dall’emersione di nuovi soggetti politici in grado di mettere in discussione il bipolarismo (M5S), di nuovi populismi anti-casta. Il tutto in un contesto di crisi di fiducia delle istituzioni, segnate da diversi scandali, dalla crisi economica e dal fallimento delle strategie europee di rigore. Politicamente parlando, un’altra era, utile però per capire meglio il presente.

In tutto questo la rete, e in generale il passaggio dalla vecchia cultura dei mass media a quella dei new media e del «citizen journalism», ha giocato un ruolo di enorme rilievo. Fino al punto da farvi parlare di una democrazia italiana «sub specie communicationis». Ci può spiegare?
Nelle pagine del Quaderno, la comunicazione è proposta come chiave di lettura dello stato della nostra democrazia. Nel giro dell’ultimo decennio, la penetrazione significativa del web 2.0 e dei social media, insieme alla loro adozione da parte della comunicazione politica e della partecipazione democratica, avevano dato adito a nuove retoriche e rianimato antiche mitologie, che sembravano trovare nelle primavere arabe e nei movimenti degli indignados o di Occupy Wall Street una nuova realizzazione. C’era dunque l’esigenza di comprendere se e in che misura due fenomeni nuovi – quello politico e quello comunicativo – fossero insieme in grado di ridefinire le forme della democrazia e della partecipazione, condizionandole, e come si giocasse questa partita tra vecchi e nuovi media.

Una delle tesi più forti del vostro Quaderno consiste nel far risalire agli anni Settanta del secolo scorso, e in particolare al processo di disincanto di quell’epoca, l’affermarsi di una ragione cinica che avrebbe inficiato i valori della politica e della democrazia, riducendole a mero esercizio retorico e meccanismo linguistico. Non le sembra azzardato?
È una tesi che può sembrare provocatoria ma che Roberto Gatti argomenta in modo convincente; si tratta di cogliere nella «morale disincantata e priva di obbligazioni stringenti» il risvolto delle medesime retoriche partecipative che sembravano imporre l’impegno sociale. Aggiungerei che l’individualismo degli anni Ottanta si legge più correttamente come piena emersione di questo aspetto piuttosto che come reazione privatistica agli anni del «tutto è politica».

L’idea della web democracy, cavalcata in particolare dal Movimento di Grillo ma non solo, si fonda sull’assunto che la disintermediazione rispetto alle forze sociali tradizionali, resa possibile dalla rete, costituisca la soluzione alle diverse crisi della democrazia italiana. Quali sono queste crisi, secondo voi, e la web democracy che ruolo può giocare nella soluzione delle medesime?
Alla crisi di carattere etico si sono accompagnati l’indebolimento dei legami sociali e dei corpi intermedi della società, la crisi della democrazia rappresentativa e il fallimento dei tentativi di riforma intellettuale e morale in grado di riattivare il principio di corresponsabilità tra tutti i membri della cittadinanza, su cui si basa la stessa democrazia. Altre radici della crisi sono da ricercare nelle scorciatoie con cui le forze politiche hanno ritenuto di articolare la sfera pubblica, alla ricerca di nuove forme di consenso comunicativo da convertire, al momento opportuno, in voti.
In questo quadro, il web disintermedia e – insieme – ri-media, cioè suggerisce o impone nuove forme di mediazione. Queste forme ci sono state spesso presentate come una soluzione alla crisi della rappresentanza, ma sarebbe forse più saggio considerarle semplicemente come forme altre, non sempre più trasparenti, della sua articolazione.

Insomma, sulla portata rivoluzionaria di internet concordano tutti gli studiosi. Il punto, semmai, è quanto la rete contribuisca o meno alla democrazia. Sembrate cercare una posizione mediana rispetto alle opposte retoriche, ma non nascondete il fatto che per molti versi le nuove tecnologie stanno riproponendo le vecchie disuguaglianze sociali.
Certamente internet ha modificato lo scenario in modo irreversibile. Per certi versi rappresenta una nuova forma di sfera pubblica. È importante ricordare, però, che anche questa sfera abilita la partecipazione secondo logiche di maggiore o minore inclusione; il peso delle disuguaglianze digitali – cioè dei cosiddetti digital divide – si traduce ancora in una inclusione imperfetta. L’esclusione passa, per esempio, attraverso il discrimine anagrafico, con la maggioranza degli elettori anziani che fanno ricorso ai soli media tradizionali, stampa e televisione, per informarsi in ambito politico; ma passa anche attraverso il ruolo giocato dalle cosiddette minoranze rumorose che acquistano una visibilità cui non corrisponde necessariamente una equivalente rappresentanza. Bisogna poi ricordare i condizionamenti delle culture di internet che, paradossalmente, sembrano dare spazio tanto a forme attive di partecipazione democratica quanto alla sua riduzione a un nuovo tipo di democrazia del pubblico, in grado di confinare l’attivismo nel gesto di un click. Come per altri ambiti dell’esperienza umana, le tecnologie sono una componente del quadro ma, da sole, non rappresentano mai la soluzione ai problemi che abbiamo di fronte.

 

SCHEDA

All’interno di quella dimensione ironica e spesso beffarda che chiamiamo Storia, non sempre gli eventi che segnano un passaggio epocale ci si presentano con la forza esplosiva e oggettiva di un 11 settembre o di un 1989. Spesso, anzi, quando abbiamo a che fare con mutamenti strutturali e profondi, è necessario individuare delle punte di iceberg non così alte e visibili per scorgere delle profondità che, a quel punto, ci fanno cogliere la portata del cambiamento più attraverso l’analisi scientifica che non attraverso i mezzi semplici e fuorvianti del (tele) vedere.
Partendo da questi presupposti, la rivista Dialoghi, diretta da Piergiorgio Grassi e ascrivibile alla tradizione del cattolicesimo democratico, fa uscire un Quaderno (La piazza, la rete e il voto. Democrazia, partecipazione e comunicazione politica ai tempi di Internet, Ave, 2015) curato da Piermarco Airoldi, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Cattolica di Milano.
La punta dell’iceberg da cui prende avvio il Quaderno riguarda le elezioni politiche del febbraio 2013, quelle in cui è stata sovvertita ogni previsione, in cui l’astensionismo è risultato il vero vincitore, e in cui il Movimento cinque stelle si è rivelato come la vera, forse unica realtà deflagrante, capace di stravolgere gli assetti di un sistema ormai da troppo tempo bloccato per poter resistere ancora nel segno della continuità.
Esplosione del Movimento di Grillo che, a sua volta, si è rivelato come il prodotto più conseguente della grande trasformazione seguita al passaggio dai vecchi ai nuovi media, portando alla ribalta il fenomeno della «disintermediazione sociale a favore di leader carismatici» emersi dalla rete in contrapposizione diretta con la «casta» cullata dal mainstream mediatico.
Il Quaderno si compone di vari contributi, fra cui quello di Roberto Gatti (che risale alle radici della controversa web democracy), Michele Sorice (sui falsi miti e i riduzionismi della democrazia on-line), Giovanna Mascheroni (sulle elezioni del 2013 analizzate attraverso twitter), nonché Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini sulla fenomenologia (e sulla prassi) del Movimento cinque stelle.
Malgrado l’intento scientifico e critico del Quaderno, volto a decostruire gli opposti miti che esaltano o maledicono internet, il quadro che emerge è quello fosco e inquietante di una democrazia italiana declinata «sub specie communicationis».