La gioia è esplosa con un boato, davanti al tribunale di Minneapolis – e ancor più il sollievo. Sono scorse lacrime fra quella folla e negli altri presidi che in tutto il paese hanno atteso il verdetto col fiato sospeso. Non basta l’esito positivo di una procedura penale a spiegare l’emozione della giornata di martedì. Dietro le lacrime e l’urlo liberatorio c’è un opprimente peso sul collo durato 400 anni.

Ci sono i 1000 morti per polizia registrati ogni anno – un terzo sono afro americani in un paese dove rappresentano il 13% della popolazione. In un paese con questi numeri non sono più di una ventina i poliziotti mai condannati per omicidio e molti di questi sono casi estremi, uccisioni durante la commissione di reati comuni da parte di agenti corrotti. Sono una manciata appena poi i casi di poliziotti bianchi mai finiti in galera per aver ucciso un nero durante il servizio: ordinaria amministrazione.

Fra poliziotti l’omertà è ferrea: il blue wall of silence che rende difficile anche istruire processi. Gli stessi ordinamenti accordano poi agli agenti un’immunità di fatto (qualified immunity). Anche nei rari casi in cui vengono formalizzate accuse, la complicità delle procure assicura il proscioglimento. Basta affermare di aver temuto per la propria vita o a volte solo di aver incontrato resistenza agli ordini, per venire assolti.

La polizia è il braccio armato e tangibile della supremazia e della lunga scia di sangue che attraversa la storia dagli “strani frutti” dei linciaggi sudisti a Emmett Till con la faccia ridotta in poltiglia in una pozzanghera del Mississippi per aver guardato una donna bianca, allo stillicidio infinito della cronaca: Michael Brown, Stephon Clarke, Freddie Gray, Breonna Taylor, Laquan McDonald, , Adam Toledo, Philando Castile, Walter Scott, Eric Garner Alton Sterling, George Floyd…. Molti, come gli ultimi cinque di questa parzialissima macabra lista, omicidi registrati su video a cui fanno, di solito, seguito puntuali assoluzioni.

Unico ricorso, la rabbia roca e disperata espressa nelle piazza e contro le vetrine, a Ferguson e Baltimora, a Cleveland, Chicago, Sacramento, Atlanta…l’esplosione puntuale delle rivolte che sono eco di quelle “storiche” che scandiscono la storia dell’ingiustizia americana: Newark, Watts, Harlem, Los Angeles….

Quelle di L.A. sono state fra le prime storie che ho raccontato da giornalista, assieme alla vicenda del pestaggio di Rodney King, che avrebbe inaugurato le stagione delle violenze videoregistrate. Sarebbero seguite presto altre morti assurde, come quella di Devin Brown, tredicenne quando è stato crivellato dai proiettili del LAPD.

Il dolore di sua madre all’angolo dove era stato assassinato, mi era sembrato allora un orrore inconcepibile ma sarebbero seguiti Tamir Rice di 12 anni quando è stato falciato a Cleveland, Adam Toledo tredicenne quando è morto in una strada scura col terrore negli occhi e le mani in alto la scorsa settimana e, solo l’altroieri, Ma’khia Bryant, uccisa a Columbus, Ohio. A 16 anni. Una nazione che divora i propri figli dalla pelle scura.
La lezione interiorizzata da ogni nuova generazione di Afro Americani è che il corpo di un nero è sempre in pericolo e che, come scrive Ta Nehishi Coats, “la polizia esprime l’America in tutta la sua volontà e paura. Una minaccia costante che incombe sui corpi neri del paese come un dato immutabile e inevitabile, come un terremoto o un uragano.”

Questa settimana un articolo del Daily Beast segnalava l’orrore che accomuna i neri in una ineluttabile parentela. Daunte Wright, ucciso dalla polizia di Brooklyn Center l’11 aprile, era stato studente della compagna di George Floyd. Caron Nazario, il tenente minacciato e torturato da due agenti a dicembre è parente di Eric Ganer strangolato a Staten Island da altri poliziotti nel 2014. La madre di Fred Hampton, padre ventenne come Wright e leader delle Pantere Nere di Chicago, assassinato dal FBI nel 1968, era stata babysitter di Emmeti Till, la cui cugina questa settimana era con la famiglia di Floyd al tribunale di Minneapolis….

Nella terribile fratellanza la verità espressa da Kamala Harris: “gli Americani neri, e in particolare gli uomini neri, lungo la storia del nostro paese, sono stati trattati come meno che umani. Le loro vite devono ora avere valore.”.

In quel tribunale di Minneapolis c’è stato un raro squarcio nell’incubo nero, forse un inizio. Comunque una vittoria epocale conquistata da un vasto movimento. In quell’aula è avvenuto un fatto storico: uno dei boia è stato ammanettato per un linciaggio registrato e trasmesso al mondo in diretta Facebook. Un esito che avrebbe dovuto essere scontato per una verità incontrovertibile, e invece è parso miracoloso.

Il che spiega il giubilo incontenibile sgorgato assieme al dolore, perché come ha detto Pilonise, fratello di George Floyd: Justice for George is freedom for all! – Giustizia per George significa libertà per tutti. Almeno oggi.