In un mondo multipolare tutto diventa geopolitica. Scontri armati, politiche economiche, scandali locali e anche lo sport: vince la prima narrazione, quella che taccia per sempre un paese, un governo, di qualcosa di negativo. Ultimamente tocca spesso alla Russia, mentre altri allargano le alleanze militari a est, finanziano e supportano regime change: prima il boicottaggio alle olimpiadi di Sochi, poi l’ombra della corruzione per quanto riguarda l’ottenimento dei mondiali di calcio (nel 2018) all’interno del più ampio scandalo Fifa, ora il report della Wada riguardante il «doping di stato», con successiva richiesta di esclusione degli atleti russi dalle competizioni mondiali.

Il Cremlino ha reagito con vigore(e il numero uno dell’antidoping nazionale si sarebbe dimesso), ma ha poco da dire: quanto emerso lascia poco spazio alle scuse o al diniego, anche perché Mosca è inserita in un contesto dove non è di certo l’unica a praticare l’elusione sistematica dei controlli sui propri atleti. Ci sono però molti punti da analizzare, senza ridurre il tutto al classico «così fan tutti». C’è di mezzo lo sport e una generale contesa propagandistica in un modo che cerca i propri equilibri come ai vecchi tempi: screditando i rivali, creando il vuoto, picchiando sul tasto del «male» come elemento saliente di un mondo, rispetto ad un altro. Tergiversando sui fatti superficiali, smentendo o ignorando quanto agita dall’interno i paesi.

Come accadeva durante la guerra fredda, quando le esplorazioni lunari e le medaglie alle olimpiadi concorrevano a creare i miti contrapposti. Tutti dicono che non siamo più in guerra fredda, ma il blocco Nato sembra quello che ci crede meno di altri. Il recente scandalo sul doping applicato dalla Russia ha basi solide, era già stato ampiamente previsto e denunciato da inchieste giornalistiche (come quelle della tedesca Ard) e da gole profonde che finivano per tirare in causa le responsabilità dei vertici mondiali dello sport e non solo dei suoi esecutori russi (atleti compresi). Ma la bomba è scoppiata solo quando il paese principale in tutta la vicenda si è scoperto – che scoperta – essere la Russia.

Del resto ci si pone in una linea temporale e storica scontata: dopo la Germania dell’est, l’Unione sovietica, la Cina, ora la Russia. Tutto vero, ma qualcuno si ricorda quando il governo italiano, con il tramite del Coni di Franco Carraro, finanziò gli esperimenti di Francesco Conconi ad esempio? Perché tra i tanti «made in Italy», non ci si può mica dimenticare l’autoemotrasfusione, doping «ematico» inventato dall’Italia quando ancora non si andavano a guardare i valori dell’ematocrito (quante medaglie vinte?). O ancora: a Bolzano a Padova è finito a processo per doping l’atleta Schwarzer e tra i rivoli dell’inchiesta si parla apertamente di «doping di stato», proprio come per la Russia. Ma noi siamo i buoni, siamo alleati ai «più buoni».

A chi ha vinto valanghe di tour de France, Armstrong, con sistemi di doping. O ancora, come ricostruisce Luca Pisapia su Il Fatto Quotidiano: «una decina di anni fa un report dell’Agenzia Antidoping americana ha rivelato che la maggior parte delle positività trovate negli Usa dal 1984 fino a Sidney 2000 (le ultime Olimpiadi prese in considerazione dal dossier) sono state coperte o nascoste: le prove e le provette distrutte. Sembra di leggere il documento reso pubblico dalla Wada ieri nei confronti della Russia».

E arriviamo alla Wada, che tira in causa in modo neanche troppo velato i vertici della federazione di atletica internazionale, la Iaaf. Sebastian Coe ne è il presidente, dal giugno 2015. È un barone, ex deputato conservatore, due volte campione olimpico di atletica (Mosca 1980, Los Angeles 1984) ed era presidente del comitato organizzatore dei giochi olimpici di Londra, nel 2012, dove si dice che il doping fosse «free», libero, liberi tutti. Lui e tanti altri dirigenti non hanno visto niente, non solo per quanto riguarda le attività – effettuate da atleti, servizi segreti, politici, dirigenti – dei russi e non solo perché quanto emerge dal report Wada è un sistema diffuso, di cui Mosca è solo un esempio eclatante.

Esiste il doping, esiste ovunque ed è sistematizzato e serve ad agevolare le narrazioni dei governi, della geopolitica, un modo come un altro per leggere il mondo facendo finta di niente sui tormenti che agitano le società al loro interno, annullando le complessità e le contraddizioni, i conflitti e gli scontri sociali. Conviene a tutti, il doping e la sua narrazione.